«Noi della Prima Repubblica non possiamo farci maestri» sussurra amaro Gerardo Bianco, «il re dei peones» che fu per due volte capogruppo della Dc e poi segretario del Partito popolare. «No, non possiamo – continua, guardando la finestra del suo minuscolo ufficio alla Camera, quello dell’associazione degli ex parlamentari – e però quando Napolitano dice che il Parlamento può lavorare meglio lo fa perché c’è stato un tempo in cui ci abbiamo provato, e ci siamo pure riusciti. Era il 1992, lui era il presidente della Camera e io il capogruppo della Democrazia Cristiana…».
I ricordi di «Gerry White» – come lo chiamavano i cronisti di allora, traducendo in un inglese maccheronico il nome di un professore irpino che invece traduceva alla perfezione dal greco al latino, direttamente – rivelano quali pensieri ci fossero mercoledì pomeriggio dietro l’esplosiva insofferenza dell’ex presidente della Repubblica per gli orari strettissimi della commissione Esteri di Palazzo Madama, «spiccioli di tempo».
E allora proviamo a guardare insieme all’ex capogruppo democristiano il programma settimanale del Senato. Lunedì si è riunita solo una bicamerale. Martedì lunga seduta d’aula, 7 ore e 40 minuti, e poi tante riunioni- lampo delle commissioni. Esteri, per esempio: 20 minuti. «E che si riuniscono a fare? In 20 minuti si può dare un parere su un provvedimento, ma certo non si può fare nessun dibattito degno di questo nome…». Mercoledì ancora aula, per la battaglia sulle unioni civili, ma prima un’altra raffica di commissioni, sottocommissioni, giunte e uffici di presidenza. Alcune durano anche un paio d’ore, altre solo cinque minuti, dalle 14,05 alle 14,10. Ieri mattina, prima che cominciasse l’aula, un’altra corsa contro il tempo: 20 minuti per la commissione Sanità, 25 per la Bilancio, appena 10 per la Ambiente. Un senatore X, che facesse parte di due commissioni (Agricoltura e Politiche Europee, per esempio) questa settimana avrebbe lavorato solo dal martedì al giovedì: quattro riunioni di commissione (2 ore e 55 minuti) e tre sedute d’aula (15 ore e 16 minuti, se è rimasto inchiodato al suo scranno).
Bianco allarga le braccia e scuote la testa, come per dire: ma come fanno? E allora, gli domando, come facevate un quarto di secolo fa? L’ex re dei peones sorride, pensando ai vecchi tempi. Napolitano – che era comunista quando lui era democristiano e dunque era un avversario, «e che avversario!» – è stato «un grande presidente della Camera», ammette. Poi spiega come riusciva il futuro capo dello Stato a far trottare gli onorevoli. «Una volta che la conferenza dei capigruppo aveva fissato le sedute d’aula, lui usava tutti i poteri del regolamento per far lavorare le commissioni. Con calendari rigorosi, quasi stakanovisti. Mai lavorato così tanto come allora, in Parlamento. In poco più di un anno e mezzo, tanto durò quella legislatura, le commissioni si riunirono per 2873 ore, e l’aula per altre 1051 ore».
Eppure oggi i numeri sono persino più alti: l’aula di Montecitorio si è riunita per 1077 ore, solo nel 2015… «E’ vero, ma allora il grosso del lavoro si faceva nelle commissioni. Che non si riunivano nei ritagli di tempo ma anche la sera tardi, e qualche volta persino la notte. Erano il vero campo di battaglia. Quando feci il capogruppo per la prima volta, nel 1979, dovevamo fare i conti con i comunisti che erano agguerritissimi, mentre il gruppo democristiano c’era e non c’era. Così, per non andare sotto, io precettavo i big del partito. Andreotti era uno dei più disponibili, più di una volta gli chiesi di sostituire un assente in una commissione che non era la sua, e lui ci andava: si metteva in un angolo, leggeva, scriveva, e votava».
Luccicano gli occhi, a «Gerry White», ripensando all’epoca d’oro della Balena bianca, alle notti dell’ostruzionismo comunista contro le Finanziarie del pentapartito, quando lui saliva nello studio del segretario generale Vincenzo Longi, «e ci facevamo una partita a tressette mentre in aula uno parlava e cento dormivano». Altri tempi. «Intendiamoci, anche allora il giovedì pomeriggio in Transatlantico incontravi deputati con la valigia pronta, perché non vedevano l’ora di tornare nel collegio a cercarsi le preferenze. E io, che non perdonavo gli assenteisti, ogni settimana facevo stampare sul “Popolo” l’elenco di chi aveva disertato le sedute. Tu fai le liste di proscrizione, mi accusarono. Ma io ero il capogruppo, per me il Parlamento era la cattedrale gotica della democrazia, e ogni volta che varcavo la soglia del palazzo mi emozionavo un po’. Oggi, a quanto pare, le cose sono cambiate…».
Eppure già allora Guido Gonella, che della Dc era stato anche il segretario, coniò una magnifica definizione della vita del parlamentare: «Ozio senza riposo, fatica senza lavoro ». Aveva ragione? «Qualche volta sì. Ma per essere un ozio, è un ozio faticoso».
Repubblica – 12 febbraio 2016