Matteo Renzi balena l’idea di un bonus da destinare a coloro che percepiscono una pensione minima. Il presidente del Consiglio sceglie una diretta sui social per tratteggiare le intenzioni dell’esecutivo. Nel corso dei vari botta e risposta su Facebook e Twitter delinea il suo piano. «È difficile alzare le pensioni minime, in questo momento abbiamo dato la precedenza al ceto medio e alle famiglie con reddito di 1500 euro al mese.
Allo studio — annuncia Renzi — c’è allargare gli 80 euro a chi prende la pensione minima. Vedremo se saremo in grado di farlo». La difficoltà, del resto, risiede proprio nell’individuare risorse e coperture per un’operazione che riguarderebbe, secondo i dati Inps, circa 2,3 milioni di persone. Tanti sono i pensionati destinatari di un reddito pensionistico fino a 500 euro. In tutto, però, sono ben 3,5 milioni le pensioni al minimo effettivamente erogate. Numeri che si traducono in un’operazione che potrebbe costare almeno 2,3 miliardi di euro. Non a caso, lo stesso Renzi sa quanto sia difficile trovare i margini per garantire la fattibilità di un progetto già accarezzato nel 2014. Certo è che l’idea del bonus da 80 euro per i pensionati si configura agli occhi di alcuni commentatori e osservatori come un aiuto a chi in generale ha versato pochi contributi.
E proprio l’analisi degli squilibri tra i versamenti effettuati e i trattamenti erogati è una delle questioni su cui il presidente dell’Inps, Tito Boeri, chiede massima attenzione. Sul versante più strettamente politico uno dei primi a commentare l’annuncio del premier è Renato Brunetta. Il capogruppo a Montecitorio di Forza Italia su Twitter scrive: «Ottanta euro a pensioni minime. Renzi vende tappeti anche sui social. Irresponsabile. Pensi a manovra da 40-50 miliardi che dovrà fare in autunno». Il fronte sindacale risponde al presidente del Consiglio per bocca di Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl: «Siamo ancora agli annunci o c’è la volontà di aprire un tavolo di confronto sulla rivalutazione delle pensioni e sulla riforma della legge Fornero?». A parlare è anche Giuliano Cazzola, economista, che evidenzia come le eventuali risorse per il bonus andrebbero «destinate a provvedimenti di carattere strutturale in materia di pensioni, piuttosto che intervenire su trattamenti già integrati dalla fiscalità generale con il rischio di farli diventare più elevati di assegni percepiti da persone che hanno lavorato e versato i contributi».
Intervenendo sui social Renzi tocca un ulteriore tema sensibile per la tenuta dei conti pubblici: un meccanismo di flessibilità di uscita dal lavoro. «È stata aumentata l’età pensionabile con un salto molto forte, con la riforma Fornero, stiamo studiando un meccanismo che mantenendo in pari i conti pubblici agevoli la flessibilità in uscita, lo annunceremo — specifica Renzi — solo con i numeri a posto». A Palazzo Chigi lavorano per fare quadrare i conti, ma l’impressione è che il premier voglia una soluzione che ammorbidisca gli effetti della legge Fornero in tempi brevi. Un punto di sintesi potrebbe, come detto proprio da Renzi, configurarsi sotto forma di ricalcolo contributivo come, per esempio, viene previsto nella cosiddetta opzione donna. «Lo facciamo il ricalcolo, ma non possiamo ammazzare quelli che stanno per andare in pensione con il retributivo».
Il presidente del Consiglio, infine, si sofferma sulla flessione del turismo in Italia in termini di contribuzione al prodotto interno lordo. «È uscito sul Corriere un articolo di Gian Antonio Stella sul turismo. C’è un margine di miglioramento pazzesco, ma i dati di Stella sono confutati da altri, che ne scriveranno domani. Prendiamo le cose che ci sono e mettiamole a posto. Esempio concreto: Pompei oggi è una delle realtà più attrattive d’Italia e del mondo». (Andrea Ducci)
Ecco i conti in tasca al bonus
L’ipotesi di aumentare l’assegno mensile ai pensionati al minimo comporterebbe maggiori uscite fra i 2,3 e i 3,5 miliardi all’anno per le casse dello Stato
Addentrandosi nel dibattito sui social, Matteo Renzi ha toccato ieri con mano quanto il tema delle pensioni sia sentito nell’elettorato. E quanto sia controverso. Non che il presidente del Consiglio non lo sapesse. Lo sa talmente bene che, dopo gli iniziali entusiasmi e qualche promessa avventata (dal ricalcolo contributivo alla pensione anticipata per le nonne), ha dovuto ripiegare su una linea di assoluta cautela. Che ieri, però, non gli ha impedito di tornare allo scoperto su tre fronti: l’aumento delle pensioni minime; la flessibilità in uscita; lo stesso ricalcolo contributivo.
Il messaggio più chiaro Renzi lo ha dato sul primo versante, dicendo che tra le ipotesi allo studio c’è quella di dare gli 80 euro al mese anche a chi prende la pensione minima, cioè quella integrata dallo Stato perché i contributi darebbero un risultato inferiore al minimo di legge, fissato nel 2016 a 501,89 euro al mese. Queste pensioni sono circa 3,5 milioni (dati 2014 del Rapporto di Itinerari previdenziali). Se il bonus fosse dato su questi trattamenti, come si dovrebbe dedurre dalle parole di Renzi, ci sarebbe una maggior spesa strutturale di 3 miliardi e mezzo l’anno. Ma i tecnici di Palazzo Chigi, dopo aver sottolineato che si tratta solo di ipotesi allo studio e che in ogni caso una eventuale misura non è per quest’anno ma per la prossima legge di Bilancio, cioè per il 2017, dicono che la spesa potrebbe essere inferiore. Se infatti gli 80 euro venissero dati a tutti i pensionati che hanno un reddito pensionistico non superiore al minimo, la platea scenderebbe a 2,3 milioni di anziani (questo perché una parte dei pensionati al minimo beneficia anche di altre prestazioni, come per esempio la reversibilità). In questo caso, quindi, la maggior spesa annuale scenderebbe a 2,3 miliardi di euro l’anno. Una manovra comunque coerente con la volontà di spingere la domanda interna, che in questa fase sta dando il contributo maggiore alla ripresina del prodotto interno lordo.
Ma Renzi ha anche riproposto il tema della flessibilità in uscita, cioè la possibilità di andare in pensione con qualche anno di anticipo prendendo un po’ di meno. Il premier, ha di nuovo premesso che si tratta di ipotesi allo studio e ha aggiunto che lo si vuol fare «mantenendo in pari i conti pubblici»: formula che non significa che si possa fare a costo zero ma che, considerando la maggior spesa iniziale (perché si pagherebbero più pensione) e i risparmi successivi (perché l’importo è inferiore), i conti tornerebbero. Solo che questo discorso del bilancio intertemporale, già suggerito dal presidente dell’Inps Tito Boeri, il governo non sa come farlo digerire a Bruxelles dove già temono lo smantellamento della legge Fornero.
Infine Renzi, incalzato dai follower, non ha voluto rinnegare l’antico tema del ricalcolo contributivo delle pensioni che, all’inizio lo aveva unito proprio a Boeri. Ma certo, «non si possono ammazzare quelli che stanno per andare in pensione col retributivo». Escluso il ricalcolo delle pensioni in essere (tecnicamente infattibile, ha spiegato l’Inps), il tema del metodo contributivo potrebbe tornare utile invece per modulare le penalizzazioni per chi scegliesse di anticipare il pensionamento, come accade per esempio alle lavoratrici che vanno a 57 anni con «opzione donna»; oppure ricalcolando il montante contributivo in funzione della maggior durata della pensione, come propone Boeri (il taglio dell’assegno sarebbe del 3% per ogni anno di anticipo, ma si dovrebbero comunque spendere 1,5 miliardi in più nel 2017, che salirebbero a 3,3 dopo 10 anni).
Considerando che i margini di manovra del governo sono molto stretti (per il 2017 la legge di Bilancio dovrà trovare almeno 24 miliardi, senza contare le pensioni), si dovrebbe concludere che Renzi sarà costretto a scegliere: o 80 euro ai pensionati più poveri o consentire ai lavoratori di lasciare prima. Fare tutte e due le cose appare al momento troppo, anche per il volenteroso Renzi. (Enrico MarrO)
Il Corriere della Sera – 6 aprile 2016