Sulla legge di stabilità si è subito creata nei palazzi romani la tipica atmosfera da mercato arabo che rappresenta una vecchia e solida tradizione dei nostri riti parlamentari. Avremo il consueto assalto degli emendamenti e ogni gruppo tenterà di imporre la propria bandierina. Naturalmente il governo non cadrà sul testo cruciale per il bilancio dello Stato. Traballerà, ma riuscirà a venirne a capo in un modo o nell’altro.
Con un po’ di cinismo si deve dire che Enrico Letta è favorito dai tormenti interni che agitano entrambi gli schieramenti, centrosinistra e centrodestra. Almeno fino a oggi i partiti sono troppo deboli per costituire una vera minaccia alla vita dell’esecutivo. In fondo anche Renzi ha aspettato che il caso Cancellieri fosse chiuso davanti alle Camere per esprimere il suo dissenso. Ed è ancora tutto da dimostrare che Berlusconi abbia davvero voglia di deragliare dalla linea fissata il 2 ottobre con il voto di fiducia al governo.
Detto questo, è evidente che la fortuna di Letta è anche il suo limite. Perché l’impotenza dei partiti, chiusi nel loro solipsismo, ha un rovescio della medaglia: la povertà di respiro delle larghe intese. Non c’è slancio, non c’è la capacità di indicare una prospettiva che accenda la fantasia degli italiani, senza dubbio non ci sono risorse. Di solito le grandi coalizioni si distinguono per l’eccezionalità dei loro interventi sul corpo vivo della società, ma non è questo il caso. Nel complesso le larghe intese si reggono sulle loro gambe, eppure assomigliano un po’ troppo a un assetto per l’ordinaria amministrazione.
Del resto, non ci sono alternative. Occorre attendere che qualcosa si chiarisca sul terreno politico. A sinistra, l’avvento di Matteo Renzi alla segreteria del Pd è tanto inesorabile quanto accidentato, come dimostra l’opaca vicenda del tesseramento. E a destra si vive l’eterno psicodramma di Berlusconi, in una sorta di circolarità estenuante. In realtà bisogna saper guardare un po’ più lontano. Il centrodestra, anche al di là dei confini del partito berlusconiano, è più vicino di quanto non si pensi a delineare le linee guida del suo futuro. Quanto meno si stanno affermando alcuni punti fermi.
Nel Pdl-Forza Italia ormai esiste un gruppo consistente per il quale la solidarietà con il leader sulla questione della decadenza dal Senato non si spinge fino ad aprire la crisi del governo. Se la linea discriminante, nel Consiglio Nazionale della prossima settimana, sarà la fedeltà a Berlusconi fino alla morte, costi quel che costi, è probabile che avremo la scissione. Che ovviamente non sarà indolore, sarà una specie di “big bang”.
Da un lato garantirà a Letta i voti al Senato di cui il premier ha necessità e dall’altro cambierà i connotati del centrodestra come l’abbiamo conosciuto negli ultimi due decenni. I “governativi” avranno bisogno di parecchio tempo per darsi una fisionomia e un baricentro prima di correre qualsiasi rischio elettorale. E viceversa i “lealisti” berlusconiani potrebbero scoprire che il loro spazio è solo radical-populista e forse più marginale di quello che credono. Peraltro a destra sono aperti molti cantieri, da Francesco Storace a Giorgia Meloni, tutti volti al dopo-Berlusconi pur senza dichiararlo. Senza dimenticare nel nord il dinamismo di Flavio Tosi, il leghista che ha qualche idea per costruire un nuovo centrodestra, magari con le primarie.
Il Sole 24 Ore – 9 novembre 2013