A pochi giorni dalla cruciale assemblea nazionale del Pdl-Forza Italia e a meno di un mese dalle “primarie” che cambieranno il volto del Pdl, il destino parallelo dei due blocchi presenta differenze ma anche singolari analogie. Non a caso in esso si riflette la parabola dei due personaggi-simbolo di una lunga stagione: Berlusconi e Prodi, i due acerrimi avversari di sempre.
Il primo non accetta il personale tramonto, il secondo sembra aver voglia di affrettarlo. Il primo non nasconde rancore e ira verso i “traditori”, il gruppo di Alfano; il secondo controlla con sangue freddo sentimenti non dissimili nei confronti dei 101 franchi tiratori che gli hanno precluso il Quirinale. Il primo è tentato di demolire la sua stessa creatura politica purché non gli sopravviva; il secondo pensa che il frutto di una bella idea, l’Ulivo, sia estinto da tempo e non ci sia molto da fare per richiamarlo in vita. Il primo va ancora combattendo per orgoglio o per desiderio di tutelare se stesso, la sua famiglia, i suoi interessi; il secondo se ne sta da tempo seduto sulla riva del fiume, in attesa.
Eppure il futuro del Pdl-Forza Italia, da un lato, e del Partito Democratico, dall’altro, resta un’incognita senza il concorso diretto o indiretto dei due padri-fondatori. Entrambi sono ancora in grado di delegittimare in forme più o meno esplicite gli attuali agglomerati politici in cerca di identità.
Poi ci sono le differenze. Berlusconi non riesce a convincersi che è un errore fatale stabilire un nesso fra la sua fuoriuscita obbligata dal Senato e la tenuta del ministero Letta. Lasciar cadere quel nesso sarebbe la sola via d’uscita: a lui resterebbe comunque un ruolo e il centrodestra avrebbe un futuro. Viceversa, una scissione consumata sul contenzioso decadenza/governo – ed è lì che stiamo andando – rischia di minare l’intera area moderata. Ad Alfano resterebbe una pattuglia di parlamentari il cui seguito elettorale è tutto da verificare. A Berlusconi rimarrebbero i voti (quanti è difficile stabilirlo), ma su una piattaforma revanscista inutilizzabile per qualsiasi governo.
Prodi è l’opposto. Ha rinunciato a suo tempo a costruirsi un movimento politico a propria immagine, ma nemmeno è riuscito o ha voluto mantenere il controllo dell’Ulivo. Eppure oggi il suo rifiuto di votare alle primarie getta un’ombra sul futuro del nuovo Pd e degli stessi concorrenti alla leadership. È evidente, benchè rimosso, l’intento polemico della decisione: il Pd odierno è stato rinnegato, quello di domani non merita per ora l’avallo. E chi davvero può rammaricarsi per la scelta di Prodi è Renzi, nonostante le parole rassicuranti di Arturo Parisi.
Stefano Folli – 12 novembre 2013 – Il Sole 24 Ore