Da pagina 1 Sul piano delle parole Berlusconi è come sempre abile. Nel suo appello si colgono fra le righe alcune aperture ai dissidenti, si insiste sull’importanza dei “moderati” nella storia del paese, si stigmatizzano le derive estremiste (segno che anche il vecchio leader le teme, come si teme qualcosa che sfugge al controllo).
Nella sostanza è una mano tesa. Ma la mano sembra vuota, nel senso che non è affatto chiaro cosa è disposto a offrire Berlusconi in cambio dell’unità interna, ossia dell’accordo con Alfano.
Il punto è e resta uno solo: la rinuncia a stabilire un nesso diretto fra la decadenza dal Senato e la crisi di governo. E’ in grado il padre-padrone di sopportare, anche sul piano psicologico, la propria uscita forzata dal Parlamento senza cedere alla tentazione di rivalersi sul governo Letta? Finora questo scenario edulcorato e “buonista” è apparso del tutto inverosimile agli occhi di chi segue la guerra civile che si va consumando dentro il partito.
Certo, se “in extremis” Berlusconi accettasse quello che fino a oggi ha respinto, appunto la decadenza senza il ritiro della fiducia al governo, la strada verso il compromesso sarebbe aperta. Soprattutto se il potere interno alla nuova Forza Italia fosse ben distribuito fra le due correnti interne contrapposte: il che significa in primo luogo un ufficio di presidenza equilibrato fra cosiddetti “falchi” e cosiddette “colombe”, rassegnati a svolazzare insieme nello stesso bosco.
Tutto questo è poco realistico. Tant’è che l’ipotesi circolata nel pomeriggio è tramontata nel giro di un paio d’ore. La verità è che il partito berlusconiano è in uno stato di sfilacciamento tale da rendere pressochè impossibile qualsiasi intesa duratura. E l’esperienza insegna che questa atmosfera è esattamente quella in cui maturano le scissioni. Non a caso ieri pomeriggio Berlusconi ha tentato più volte di stringere accordi con i filo-governativi,consapevole di quale rischio sia per lui, per i suoi interessi economici, per il segmento di Italia che egli ancora rappresenta, una frattura verticale della sua area. Ma ormai nemmeno il leader-padrone riesce più a garantire una vera tregua tra le fazioni una contro l’altra armate. E poi, a questo punto non serve una tregua, bensì una vera pace.
Un vago compromesso che non fissasse nero su bianco il sostegno al governo Letta, offrendogli un congruo lasso di tempo per realizzare i propri obiettivi, servirebbe a Berlusconi, ma solo a lui. Di certo non a Letta che ha bisogno di coesione autentica nella maggioranza dopo mesi di guerriglia. E nemmeno ad Alfano, il cui interesse è, sì, quello di evitare la scissione, ma non al prezzo di una crescente ambiguità nella quale si spegnerebbe la sua ambizione di “leadership”.
Vedremo oggi. L’impressione è che nel centrodestra siamo a un passo dalla spaccatura. Avremo due destre, una populista e una a vocazione governativa, ansiosa di integrarsi nel Ppe. Per Berlusconi questa è probabilmente la vera fine della sua parabola politica. Quel che resta di lui è un personaggio costretto a cavalcare suo malgrado una tigre estremista e anti-europea nella quale non ha mai davvero creduto. Quanto ad Alfano, per lui comincia una nuova storia personale: ma il cammino è tutto in salita, anche perchè dovrà dimostrare che gli elettori sono disposti a seguirlo.
Il Sole 24 Ore – 16 novembre 2013