Il commissario. Il decreto sulla Pa permette di intervenire anche su concessionari e general contractor: è il caso del Consorzio Venezia Nuova. Il Mose di Venezia sta per essere commissariato. L’Autorità anticorruzione ha inviato due giorni fa la richiesta al Consorzio Venezia Nuova, che si occupa di realizzare l’infrastruttura da 5,5 miliardi, finita sotto inchiesta per un giro di corruzione, fatture gonfiate, false consulenze e finanziamenti illeciti.
L’atto verrà ora inviato alla prefettura di Roma. Il Consorzio ha tre giorni di tempo per presentare le memorie, poi nel giro di una settimana si entrerà nel vivo del regime di tutela.
Prima di tutto bisognerà capire se il commissario, che sceglierà l’Anac e la prefettura, coesisterà con gli attuali vertici aziendali, guidati dal presidente Mauro Fabris (subentrato dopo le vicende nel mirino del procuratori veneziani), o se tutto il consiglio direttivo verrà rimosso. Probabile la seconda ipotesi. Poi verranno stabiliti altri dettagli: gestione finanziaria e prosecuzione dei lavori (che non dovrebbero subire stop).
Si era parlato dell’ipotesi commissariamento del Consorzio già a giugno (vedi il Sole 24 Ore del 17 giugno 2014), ma la normativa lo rendeva difficilmente praticabile, visto che non si tratta giuridicamente di un’azienda. Poi a luglio, attraverso degli emendamenti al decreto sulla Pa, la possibilità del regime controllato è stata estesa anche ai concessionari e ai general contractor delle opere pubbliche.
Già qualche mese fa sembrava chiaro che le modifiche normative fossero state introdotte appositamente per il caso veneziano, dove esiste una società che non ha eguali in Europa, in parte concessionaria e in parte concedente, ma che essendo un soggetto privato può essere assimilata anche ad un general contractor, e che da tre decenni gode di deroghe speciali rispetto alle leggi su appalti e concorrenza.
Sistema, questo, che ha permesso alla corruzione di crescere: nessun controllo e neppure nessuna gara da bandire, ma solo una progressiva “spremitura” dei finanziamenti pubblici autorizzati dal Cipe, da diffondere a cascata ad amici e imprenditori attraverso consulenze gonfiate o inesistenti (si parla di almeno 40 milioni di fondi neri). E il tutto all’ombra di un sistema di controlli complice del crimine (sono finiti infatti agli arresti anche funzionari del magistrato delle acque, un magistrato della Corte dei conti e un generale della Gdf). Anche la politica ha avuto il suo tornaconto: tra i grandi imputati c’è anche l’ex presidente veneto Giancarlo Galan, che avrebbe assicurato autorizzazioni in cambio di favori e denaro (ha da poco patteggiato, anche se ha annunciato un ricorso in appello). L’indagine giudiziaria ha portato all’arresto cautelare di 35 persone. Secondo i pm Stefano Buccini, Stefano Ancilotto e Paola Tonini il meccanismo criminoso è proseguito almeno dal 2005 al 2012.
Il Sole 24 Ore – 30 ottobre 2014