Michele Bocci, Repubblica. Una complessa costruzione di indicatori, con parametri che valutano la situazione degli ospedali, la corsa del virus nel territorio e la capacità delle Regioni di capire cosa sta succedendo al loro sistema sanitario, e poi si finisce sempre lì, al tasso di contagiosità. Al momento è solo l’Rt a decidere quali Regioni entrano nella zona arancione e rossa oppure possono restare in quella gialla. Negli ultimi due monitoraggi della Cabina di regia di Istituto superiore di sanità e ministero alla Salute chi peggiora ha visto il suo Rt dei casi sintomatici salire sopra l’1,25, ed è finito in zona arancione, oppure sopra l’1,5, ed ha dovuto applicare le regole della zona rossa. Eppure gli indicatori sarebbero 21.
Anche questo aspetto ha fatto sollevare critiche nei confronti del sistema di verifica settimanale, non solo da parte di alcuni governatori ma anche dagli stessi tecnici. Si chiede che vengano rinfrescati gli indicatori, se necessario anche riducendoli, per renderli più efficaci. L’intento non è quello di alleggerire la posizione delle Regioni ma anzi di diffondere maggiormente misure più restrittive. «Con il tracciamento che è saltato, l’Rt non funziona bene, potrebbe essere sottostimato», dice Vittorio Demicheli, epidemiologo e direttore sanitario dell’Ats di Milano ma soprattutto tra i membri che rappresentano le Regioni nella Cabina di regia. Non sarebbe male, fanno poi sapere alcuni esperti, se oltre che basarsi su quanto successo in passato, cioè circa una settimana prima di quando viene pubblicato il report, gli indicatori facessero comprendere dove va l’epidemia. Per questo si lavora, anche con la fondazione Bruno Kessler di Trento che collabora con l’Istituto superiore di sanità, a un sistema basato sui dati registrati dalle mappe di Google o Apple, che permettono di osservare il calo degli spostamenti delle persone quando ci sono le restrizioni. Disegnando dei modelli sulla base di quell’andamento si può prevedere come si muoverà il contagio nei giorni successivi alle varie misure. Il ministero ritiene comunque che la questione vada risolta dai tecnici, che in questo campo hanno il primato. Così il dibattito all’interno della Cabina di regia e dell’Istituto, come visto, è iniziato.
Del resto, se medici e infermieri chiedono da giorni un lockdown nazionale (come ha fatto ieri il primario di malattie infettive dell’ospedale di Pisa Francesco Menichetti), molte perplessità sul modo in cui si finisce nelle zone arancioni e rosse le ha anche il Comitato tecnico scientifico, del quale tra l’altro fanno parte membri della Cabina di regia, come Silvio Brusaferro dell’Istituto e Gianni Rezza del ministero. Il 9 novembre il gruppo di esperti ha messo a verbale. «Il Cts rileva alcuni elementi migliorativi, che, in funzione dell’avvio del sistema, possono essere considerati dalla cabina di monitoraggio nazionale, quali: la possibilità di rivalutare il peso relativo dei singoli indicatori in base alla situazione oggettiva delle singole Regioni, l’opportunità di garantire un supporto operativo alle Regioni che non riescono a garantire un flusso informativo tempestivo e l´opzione di rivedere e riconsiderare alla luce dell’evoluzione epidemica attuale la valenza degli originali 21 indicatori».
Per adesso il sistema messo in piedi si fonda su due pilastri. Il primo è il “rischio”, che si calcola analizzando l’andamento dei 21 indicatori. Sono stati individuati ad aprile e sono stati alla base di ben 27 settimane di monitoraggio. Tra questi ci sono l’occupazione delle terapie intensive e l’incidenza dei casi per 100mila abitanti, la quantità di focolai e la capacità di tracciamento. L’altro grande pilastro è stato introdotto a settembre, sottoposto alle Regioni e ufficializzato in un documento del 12 ottobre. Si tratta dello “scenario” e si basa prevalentemente sull’Rt. Se questo è sotto l’1,25 la Regione si trova negli scenari 1 o 2 , se è tra 1,25 e 1,5 si trova al 3, sopra l’1,5 si trova al 4. Se il rischio è alto e lo scenario è 4 scatta la zona rossa, se è 3 l’arancione. Il punto è che nell’ultimo monitoraggio tutte le Regioni tranne il Molise si trovavano a rischio alto. I 21 indicatori quindi non sono più in grado di individuare differenze tra i vari territori, che dunque sono segnate esclusivamente dall’Rt. «E questo è un errore, perché quando i numeri sono così grandi il tracciamento non funziona più e si fanno meno tamponi di quelli necessari, così l’Rt si abbassa perché si trovano meno casi», dice appunto Demicheli. «Chi ha scritto il Dpcm – aggiunge – dovrebbe ripensare quei criteri. Adesso siamo in un periodo di sofferenza diffusa del servizio sanitario e chi ha un Rt più basso, che peraltro come detto potrebbe essere calcolato su dati non buoni, si avvantaggerebbe proprio dall’ingresso in una zona arancione o rossa ». Nelle Regioni dove la situazione è meno pesante, quindi, per Demicheli sarebbe meglio introdurre subito misure più stringenti perché se le cose non vanno malissimo è più facile e veloce abbattere la curva dei contagi.