Tutto come previsto. Il primo appuntamento all’Aran per far ripartire i rinnovi dei contratti nel pubblico impiego si incaglia subito sulle questioni spinose dei soldi e dell’applicazione della riforma Brunetta che impone di ridurre a 4 comparti la geografia composita della Pa italiana e di dividere nelle famose «tre fasce di merito» i dipendenti di ogni amministrazione per distribuire in modo progressivo le risorse legate alla produttività. Con le stime circolate in questi giorni, che parlano di 3-400 milioni all’anno disponibili per i nuovi contratti, il terreno per far decollare la trattativa rischia di rivelarsi stretto. “L’Aran non ha esplicitato una proposta e non ha riferito alcuna esplicita intenzione del governo sull’articolazione dei contratti – si legge in una nota Cosmed -. La riunione è stata condizionata dall’attesa di conoscere quali risorse saranno messe a disposizione dal Governo, giovedì prossimo nel Disegno di Legge di Stabilità per i rinnovi contrattuali”.
La Cosmed ha ribadito la priorità dei rinnovi contrattuali che deve prevalere sulla problematica, pur collegata, della rappresentatività. “Inoltre – prosegue la nota della Confederazione di medici e dirigenti – vi è la necessità assoluta di un’area specifica per la dirigenza sanitaria. La riapertura dei contratti è un’esigenza indifferibile per una riorganizzazione credibile del servizio pubblico che rischia di cadere nel caos. L’Aran ha annunciato che riconvocherà il tavolo tra 10 giorni circa”.
Per la Cisl «per il rinnovo dei contratti servono almeno 3 miliardi di euro», ma il pensiero è condiviso da tutte le rappresentanze sindacali che ieri si sono incontrate con l’Aran: per la Uil le ipotesi circolate in questi giorni parlano di «cifre ridicolmente basse» e la Cgil, premesso che «nella legge di stabilità non ci sono al momento le risorse necessarie a rendere credibile la volontà del governo di rinnovare i contratti», chiede di «liberare la contrattazione di vincoli fortissimi di legge che oggi la limitano».
Senza la manovra, sostengono insomma i sindacati, è inutile iniziare a discutere, ma anche le risposte attese per giovedì prossimo, salvo sorprese dell’ultima ora, non saranno in grado di dare la spinta a un confronto che parte con il freno tirato.
I numeri I calcoli finora effettuati dal Governo tengono conto del complicato puzzle delle coperture di una manovra che interviene a tutto campo, ma anche del fatto che la Corte costituzionale ha di fatto salvato tutti i precedenti blocchi della contrattazione, imponendo solo di farla ripartire per il futuro. In tempi di inflazione ai minimi (l’indice Ipca provvisorio per il 2015, che misura le risorse da mettere sul tavolo del rinnovo, è allo 0,4%), la dote si assottiglia. Fra i sindacati nemmeno questa premessa incontra un assenso univoco, perché non manca chi chiede di ritornare indietro almeno al triennio 2013-2015, ma anche a prescindere da questo primo scoglio, gli ostacoli più seri arrivano dall’applicazione della Brunetta.
L’ostacolo del «merito» Tutto il pacchetto della riforma che scatta al «primo rinnovo contrattuale» dopo la sua approvazione, infatti, punta a introdurre robuste dosi di semplificazione nella rappresentanza e di “meritocrazia” nella distribuzione di risorse, due bocconi indigesti per le delegazioni chiamate a trattare. Prima di tutto, dovrebbero entrare in vigore le «tre fasce di merito», che chiedono di attribuire il 50% delle risorse destinate alla produttività al 25% dei dipendenti caratterizzati da risultati più brillanti, l’altro 50% alla fascia di valore mediana popolata dalla metà del personale, e di non destinare nulla all’ultimo 25% dei dipendenti, a causa dei loro risultati più modesti. Il sistema della valutazione è ancora da costruire, ma soprattutto con un rinnovo che offrirebbe qualcosa come 10-15 euro lordi al mese dopo sei anni di contratti bloccati questa novità, annunciata a suo tempo come una «svolta epocale» e poi subito accantonata per la crisi di finanza pubblica, rischia di incontrare opposizioni serrate.
La discussione sui comparti Nella riunione si è cominciato poi ad affrontare la questione dei comparti, che devono ridursi a quattro come prevede la riforma prima di partire con i nuovi contratti, ma anche su questo fronte non ci sono stati passi avanti. Le questioni più controverse riguardano la costruzione del super-comparto che dovrebbe riunire tutte le amministrazioni centrali, dai ministeri a Palazzo Chigi passando per l’articolato mondo degli enti pubblici, ma è da definire anche la nuova collocazione delle Regioni, che in base ai progetti originari potrebbero “abbandonare” gli enti locali per unirsi alla sanità. In ogni caso, si tratterebbe di riallineare in quadro contrattuale unico realtà che hanno avuto dinamiche retributive e regolamentari molto diverse fra loro, con conseguenze ancora da definire.
A complicare il quadro ci sono poi i temi più “sindacali”, che ufficialmente vengono dopo i problemi delle buste paga ma com’è ovvio preoccupano parecchio le parti sociali. Per superare la soglia della rappresentatività, che consente alle diverse sigle sindacali di sedersi al tavolo, occorre raggiungere almeno il 5% nella media fra iscritti e voti nelle rappresentanze sindacali, e ovviamente il risultato si complica se il comparto si allarga. A farne le spese sarebbero molte delle sigle “minori”, in particolare quelle più legate a una singola area professionale, e non può essere d’aiuto nemmeno l’idea di dividere i nuovi mega-comparti in settori, perché la base di calcolo continuerebbe a essere quella del comparto. Obiettivo dichiarato della riforma Brunetta, del resto, era anche quello di semplificare drasticamente il panorama delle sigle sindacali.
Come se ne esce? La parola passa alla manovra, che domani dovrebbe offrire la prima indicazione sul “valore” del rinnovo contrattuale per la finanza pubblica, dopo di che ci dovrebbe essere un nuovo incontro all’Aran per cominciare a discutere su come sciogliere i tanti nodi sul tavolo. E la discussione si annuncia lunga.
I SINDACATI: «PIÙ RISORSE IN STABILITÀ POI I NUOVI COMPARTI»
D. Col. Uscendo dalla sede dell’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale della Pa, i sindacalisti del pubblico impiego ieri pomeriggio ripetevano tutti la stessa dichiarazione: prima vogliamo sapere quante risorse metterà davvero il Governo per il rinnovo dei contratti e poi apriremo il confronto sui nuovi comparti.
Non poteva che andare così, in effetti, con una convocazione fatta a 48 ore dal varo della manovra per il 2016, attesa domani in Consiglio dei ministri. Le cifre circolate negli ultimi giorni restano vincolate a circa 300 milioni, un valore che secondo i rappresentanti dei lavoratori basterebbe al massimo per pagare l’indennità di vacanza contrattuale, mentre la sentenza del della Corte costituzionale di qualche mese fa (178/2015) imporrebbe il superamento del blocco con un rinnovo triennale.
Serena Sorrentino, segretario confederale Cgil, ha parlato di incontro «meramente interlocutorio»: «Ci sono due questioni preliminari da affrontare – ha sottolineato – per poter avviare la discussione relativa all’accordo quadro: primo, nella legge di Stabilità non ci sono risorse necessarie a rendere credibile che il Governo voglia veramente rinnovare i contratti; secondo, il Governo e l’Aran devono liberare la contrattazione di vincoli fortissimi di legge che oggi la limitano». Una posizione in linea con quelle di Cisl e Uil. «O ci dicono che intenzioni ha il governo – ha affermato Maurizio Bernava, segretario confederale Cisl – o siamo pronti alla mobilitazione». Mentre Antonio Foccillo (Uil) ha bollato le risorse circolate sui giornali come «ridicolmente basse rispetto a uno stallo retributivo fermo al 2009».
Oltre alla definizione dei quattro nuovi comparti di contrattazione, in sede Aran si devono definire anche le modalità applicative dell’altra norma prevista nella riforma Brunetta (Dlgs 150/2009) che ora entra in gioco con la riapertura della contrattazione e che prevede la destinazione di una quota prevalente del trattamento accessorio alle performance individuali di ogni dipendente su tre fasce di merito: alla prima, composta dal 25% degli addetti, deve andare il 50% dei premi, mentre l’altro 50% andrebbe alla seconda fascia in cui sta un altro 50% di personale, infine per l’ultimo quarto di dipendenti (quelli non performanti) non andrebbe nessun integrativo. Aspetti tecnici che s’intrecceranno con l’attuazione della delega Madia (l’articolo 17 sul Pubblico impiego). Intanto bisogna aspettare la stabilità per capire quali saranno le risorse messe a bilancio.
Tratto da Cosmed e Il Sole 24 Ore – 14 ottobre 2015