di SusannaTurco. Il ministro della Sanità ha la politica nel Dna. Sui tagli annunciati dal governo è riuscita a non andare in conflitto né con Renzi né con le Regioni. Se l’è cavata anche con le insidie dei casi Stamina e eterologa. E se Ncd dovesse tornare fra le braccia di Fi, c’è chi è pronto a scommettere su un suo ingresso nel Pd
“Beatrice Lorenzin? Lei ama stare in prima classe”. Nunzia De Girolamo, ex ministro e compagna di partito dell’Ncd, ha smentito di averlo mai detto. Eppure, in quella definizione c’è del vero. Basta solo cambiare la preposizione: Beatrice Lorenzin ama stare “da” prima della classe, ovunque si trovi. Oppure stare in classe “da prima”, che in fondo è lo stesso. Insomma arrivarci, per quel che può, prima. Ancora meglio, se in modo poco visibile. In Forza Italia, dove si arruolò giovanissima, ma anche sul dossier Stamina prima che esplodesse. Nello stringere buoni rapporti con Enrico Letta. O nel coltivare Alfano: quando lui fu nominato segretario del partito da Berlusconi, fu tra i primi a puntare su di lui, tanto che all’epoca delle mai fatte primarie di FI, giusto un anno prima dello strappo, era già pronta per fargli da capo della campagna elettorale.
Del resto, per stare alle ultime cronache, basti guardare la sapienza con la quale, nell’ultimo giro di polemiche sui (presunti) prossimi tagli alla sanità, Lorenzin è riuscita a ritagliarsi una funzione terza, lei che pure della Sanità è ministro: le Regioni si infuriano sì, ma con Renzi; Renzi risponde a muso duro, ma alle Regioni. Lei, resta abilmente fuori dalla tenzone: per un verso, come usa dire, “punta i piedi” e giura che “almeno per ora” i tagli del tre per cento chiesti dal governo a tutti i ministri lei li farà sui fondi per il ministero (parla di 40 milioni su un miliardo di dotazione), e non sul Fondo sanitario nazionale (il Patto per la salute, siglato di recente, prevede l’erogazione di 337 miliardi in tre anni), e quindi “non bisogna fare allarmismi”; per l’altro, quando le si chiede di rassicurare le regioni, sorride e risponde che “anche il ministro della Salute vuole essere rassicurato”.
No agli allarmismi, ma pronta a lanciare l’allarme: così, non va in conflitto né con Renzi né con le Regioni – risultati entrambi difficilissimi da raggiungere. Tanto più che il suo vero obiettivo, come ebbe a spiegare in un tavolo di confronto organizzato dal Sole 24 ore mesi fa, è Padoan: vale a dire, Lorenzin vuol sottrarre per quanto possibile il proprio ministero alle grinfie del ministero dell’Economia, che “negli ultimi anni ha svolto un ruolo preponderante” e ha “gestito la sanità in un rapporto muscolare con le regioni”. Il che, a ben guardare, pare proprio ciò che sta facendo.
Del resto, con altrettanta scaltrezza Lorenzin ha gestito nei mesi scorsi la spinosissima questione Stamina, disinnescando oltre che la cosa in sé, il suo portato emotivo. E’ riuscita cioè a non diventare più di tanto il bersaglio dei favorevoli alla cura, come invece accadde a suo tempo al ministro Bindi, trafitta per le sue posizioni sulla cura Di Bella. Neanche male se l’è cavata con l’eterologa, faccenda sulla quale dopo la sentenza della Consulta ha giocato a rimpiattino tra la propria (fermissima) volontà di ridiscuterne in Parlamento e il rischio di tirarsi addosso la critica di voler ripristinare di fatto il divieto. Ebbene: prima di inabissarsi nel nulla delle scartoffie, il decreto che aveva preparato s’era guadagnato plausi anche da palchi non scontati come quello della democratica Michaela Marzano e della scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo; e quando le Regioni, forzando la mano, hanno emanato le linee guida per avviare intanto l’eterologa, non l’hanno fatto “contro” di lei, ma anzi “col ministro dalla nostra parte”. Profondamente terzista, insomma. Tra il no alla legalizzazione delle droghe leggere, e il via libera alla produzione della Cannabis terapeutica nell’Esercito.
Viene il sospetto che Lorenzin abbia studiato una vita per fare il ministro della Sanità, eppure non è nemmeno così: il suo curriculum parlamentare è vario, e non particolarmente appuntato su quelle tematiche. Certamente, ha studiato per fare politica, che è la sua vita da sempre. Consigliere municipale a Roma a 26 anni, coordinatore dei giovani di Fi del Lazio a 28, consigliere comunale a 30. Poi capo segreteria di Paolo Bonaiuti, quando era sottosegretario di Berlusconi. Quindi coordinatore nazionale dei giovani azzurri, fino all’approdo in parlamento nel 2008. Una carriera in ascesa che ha avuto uno stop, paradossalmente, proprio allora: già, quando vigeva il Berlusconismo ultima versione, tra olgettine e cene eleganti, e a tratti il Transatlantico pareva rasentare la sfilata di moda, Lorenzin se ne andava eloquentemente in giro con le ballerine, i jeans e l’apparecchio ai denti. Stile suo, non in linea con quei tempi.
Così, quando quel mondo è crollato, non è certo crollato in testa a lei, che si è potuta presentare senza macchie alla chiamata per il governo Letta. Adesso, però, la partita si fa di nuovo complicata. Politicamente, s’intende. Nel pacchetto di mischia dell’Ncd, Lorenzin fa infatti parte di quelli che un ritorno a Canossa sotto la mano di Berlusconi lo rifiutano assolutamente. Del resto, dopo aver detto che Forza Italia aveva preso una deriva da “Alba dorata”, è difficile tornare indietro. A questo si devono, a quanto si dice, alcune sue prudenti sparizioni; così come le voci, che non trovano conferma, di un suo ingresso nel Pd. Di fatto, se davvero Ncd puntasse a una reunion con Forza Italia (primo segnale: le prossime regionali da coalizzati), è difficile immaginare anche lei della partita.
L’Espresso – 13 settembre 2014