Tagli, tagli e ancora tagli: acquisto di beni e servizi, stipendi dei manager pubblici, costi della politica (via le province, il Senato e il Cnel), auto blu, difesa, forze dell’ordine, trasferimenti alle imprese, enti inutili, società partecipate, spesa per affitti, accorpamento di strutture, agenda digitale. Sui tagli della spesa pubblica ci metterà la faccia Matteo Renzi.
Una decisione, dice il presidente del Consiglio, condivisa dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il quale non sarà più il facile bersaglio dei colleghi di governo come è accaduto a tutti i suoi predecessori. A prendersi la «colpa» dei tagli sarà Renzi. Anche perché, pur senza toccare pensioni e sanità, come assicura almeno per il momento il premier, si tratterà di scontentare parecchi soggetti.
A partire dai manager e dagli alti dirigenti pubblici che rischiano un taglio della retribuzione che, secondo le direttive date da Renzi, non potrà superare quella del presidente della Repubblica, cioè circa 250 mila euro l’anno. Solo da questa voce si dovrebbero risparmiare 500 milioni di euro, afferma il presidente del Consiglio. Che è deciso ad ottenere da tutti i tagli allo studio per il 2014 più dei 3 miliardi ipotizzati dal commissario per la spending review, Carlo Cottarelli. E soprattutto ad individuarli prestissimo, perché è da qui che dovrà arrivare la maggior parte delle coperture finanziarie necessarie al decreto legge che disporrà il taglio delle tasse da circa 6 miliardi e mezzo (10 su base annua) per i lavoratori dipendenti a basso reddito, che da maggio dovrebbero trovare circa 80 euro in più in busta paga.
Per accelerare il tutto, ieri a Palazzo Chigi, si è riunito il comitato interministeriale per la spending review. A presiederlo Renzi ha mandato il suo alter ego, il sottosegretario Graziano Delrio. A lui e ai ministri dell’Economia, delle Riforme (Maria Elena Boschi), della Pubblica amministrazione (Marianna Madia) e al viceministro dell’Economia Enrico Morando e al sottosegretario dell’Interno Gianpiero Bocci, il commissario Cottarelli ha illustrato le aree di intervento. Alcune sono apparse subito politicamente delicate. Quella delle forze di polizia, per esempio. Cinque corpi (polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria e forestale) sono fonte di sprechi e sovrapposizioni, è la conclusione di Cottarelli, che punta a risparmiare in questo settore 600 milioni in tre anni. Il ministro degli Interni, Angelino Alfano, che ha sul tavolo un «Progetto di razionalizzazione» preparato dai suoi tecnici per chiudere 300 uffici di polizia e 21 dei carabinieri assicura che non ci saranno chiusure bensì «razionalizzazioni», ma aggiunge, parlando ieri davanti agli allievi della scuola di polizia, che «in tempi di spending review anche noi siamo chiamati a uno sforzo». Tagli crescenti sono allo studio per il ministero della Difesa: 100 milioni nel 2014, 1,5 miliardi nel 2015 e 2,2 miliardi nel 2016. Ma le resistenze sono forti. Il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri (Fi), da sempre paladino degli uomini in divisa, attacca: «Giù le mani dalla sicurezza e dalle forze dell’ordine. Chiederemo un urgente confronto in Parlamento per respingere le minacce di questo Cottarelli». Ieri, intanto, da Palazzo Chigi sono partite tre lettere ai ministeri dell’Interno, della Difesa e della Giustizia con la richiesta di individuare ciascuno 50 auto blu da mettere all’asta.
Meno problemi politici presenta l’estensione del raggio di azione della Consip, la società dell’Economia per l’acquisto centralizzato di beni e servizi. Setacciando tutte le spese, in particolare degli enti locali, che si discostano dai costi standard elaborati in una banca dati centrale, si potrebbero risparmiare 2 miliardi. Più di 700 milioni si potrebbero tagliare solo sulla spesa per locazioni dello Stato centrale.
A fare il punto ieri sera, a Palazzo Chigi, sono stati Renzi e Padoan, anche in vista dei prossimi appuntamenti in Europa. Il Tesoro lavora senza soste per trovare quante più coperture certe possibile per evitare che l’Italia debba chiedere a Bruxelles e al Parlamento italiano l’autorizzazione a finanziare il taglio delle tasse anche con un aumento del deficit di qualche decimale, rispetto al 2,6% del Pil previsto nel 2014. Un’ipotesi che Renzi ha invece già messo in campo.
Enrico Marro – Corriere della Sera – 15 marzo 2014