Finchè ministero della Salute, Università, Regioni e sindacati non concorderanno su una sorta di maxi «sanatoria» a beneficio dei 10 mila laureati in Medicina oggi non assumibili perchè non specializzati a causa dei pochi posti disponibili nelle Scuole di specialità, l’unica strada percorribile per non lasciare sguarniti reparti e ambulatori, oltre a richiamare i pensionati, sembra il ricorso a professionisti stranieri. E non parliamo solo dei dieci romeni per i quali l’Usl di Treviso è in trattativa con l’Università di Timisoara. «Negli ultimi mesi il Veneto ci ha contattati per poter assumere 400 colleghi — rivela il professor Foad Aodi, palestinese, presidente dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi) e consigliere nazionale dell’Ordine italiano —. L’85% delle domande riguarda il privato, soprattutto cliniche, ma per la prima volta comincia a farsi sentire anche il pubblico, con un significativo 15% di richieste. Le città che in entrambi i settori hanno evidenziato una maggiore esigenza di specialisti stranieri sono Verona, Padova, Vicenza e Treviso. Cercano anestesisti, radiologi, pediatri, ortopedici, ginecologi e medici dell’urgenza-emergenza».
Nel Veneto mancano 1.295 ospedalieri e la situazione rischia di aggravarsi per altri 501 che dovrebbero andare in pensione con Quota 100. «L’Italia conta 80mila tra medici, infermieri, operatori sociosanitari e fisioterapisti di altri Paesi — continua Aodi — di questi, 18mila sono i camici bianchi. Solo che rispetto agli anni ‘60/’80 si è verificata un’inversione di tendenza: prima eravamo noi, palestinesi, arabi, siriani,libici, giordani, congolesi e camerunensi soprattutto a voler venire in Italia a studiare, specializzarci e magari restare a lavorare, come ha fatto il 45%. E così è stato dopo la caduta del muro di Berlino anche per romeni, albanesi, russi, moldavi e nordafricani già specialisti, che hanno dovuto solo chiedere il riconoscimento dal ministero della Salute o iscriversi al sesto anno di Medicina in Italia per ottenere l’equipollenza dei titoli. Oggi invece è l’Italia ad avere bisogno di medici stranieri, perchè non riesce a utilizzare quelli già laureati, che siano italiani o immigrati». E allora c’è la rincorsa in particolare a camici bianchi già formati dell’Est, ma anche egiziani, tunisini, sudanesi e siriani.
«Alcuni accettano di trasferirsi in Veneto, come in altre regioni — rivela il presidente dell’Amsi — ma dopo un po’ i problemi emergono. Anche i comunitari, che potrebbe partecipare ai concorsi, vengono assunti dalle aziende sanitarie con contratti di libera professione della durata di 12-18 mesi, spesso addirittura di sei, rinnovabili per altri sei. Non sono pagati abbastanza, soprattutto a fronte degli stipendi da 14mila euro al mese più auto e scuola per i figli offerti dall’Arabia o anche delle buste paga inglesi, che sono tre volte tanto quelle italiane». E infatti il 25% degli stranieri se ne torna in patria o sceglie altre mete nel mondo. «Offriamo una buona formazione, ma non siamo attrattivi, perchè i compensi sono bassi rispetto a quelli in vigore in Germania (che conta 10mila camici bianchi italiani, ndr ), Francia o America — riflette Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia e vicepresidente nazionale — tanto è vero che il 15% dei colleghi italiani a sua volta se ne va altrove». «A noi mancano gli anestesisti — conferma Francesco Cobello, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Verona — li cerchiamo italiani attraverso i concorsi, ma non escludo di poter valutare l’opzione stranieri». «Noi cerchiamo medici bravi — aggiunge Giovanni Pavesi, dg dell’Usl 8 Berica — al momento non all’estero».
Il sindacato. «Superlavoro e contratti da fame faranno scappare anche loro»
Adriano Benazzato, segretario regionale dell’Anaao Assomed, sigla degli ospedalieri, come vede il ricorso a medici stranieri?
«Sono molto scettico, i vertici della sanità non sanno dove sbattere la testa. Mi sembra un disperato tentativo di trovare a tutti i costi una soluzione alla carenza di specialisti senza guardare alle conseguenze».
Cioè?
«Già adesso il 25% dei colleghi di altri Paesi sta tornando in patria. Arrivano qui giovani, appena specializzati, perchè fa curriculum trascorrere qualche anno negli ospedali italiani. Una volta accumulata esperienza, se ne vanno».
Perchè altrove li pagano meglio?
«Esatto. Le nostre aziende sanitarie o le cliniche private che li assumono sottoscrivono contratti libero-professionali anche ai comunitari, che potrebbero invece partecipare ai concorsi, perché così erogano stipendi più bassi. E infatti, a differenza di quanto si crede, i romeni non vengono affatto di corsa in Italia».
Ci sono disagi per i malati?
«Credo che i colleghi dell’Est, soprattutto per la chirurgia, non abbiano il nostro stesso livello di preparazione. Altrimenti Germania, Francia e Inghilterra andrebbero a cercare loro, invece degli italiani. Per tutti vale poi il grosso limite della lingua: di solito arrivano senza sapere una parola d’italiano ed è un problema per i malati, con i quali non riescono a comunicare. Ma alla politica e ai direttori generali delle Usl interessa solo tappare le falle. Follia».
La soluzione dell’Anaao?
«Prima di tutto sanare l’assurdità dei 10 mila colleghi laureati e rimasti a spasso perchè, non avendo trovato spazio nelle Scuole di specialità, non possono essere assunti. E poi bisogna sfruttare al massimo la nuova legge che consente anche agli specializzandi dell’ultimo anno di partecipare ai concorsi e di essere assunti a tempo determinato, da trasformare in indeterminato al termine della formazione. Sono 6.200 in Italia e altrettanti se ne aggiungeranno a settembre. Non solo sostituirebbero i 10 mila pensionati ma ne avanzerebbero per tamponare le situazioni più critiche».
A proposito di assurdità: il Veneto, come il resto delle regioni, cerca camici bianchi stranieri anche perchè quelli italiani vengono «scippati» da Germania, Francia, Inghilterra, America…
«Appunto, è una barzelletta. La nostra sanità, pubblica soprattutto, ha creato condizioni di lavoro così pesanti e non più tollerabili da far scappare all’estero gli specialisti. E poi però si lamenta perché i concorsi vanno deserti e non contenta riserva lo stesso trattamento agli immigrati. Col risultato di far fuggire pure loro».
«Negli ospedali già molti dall’estero. E dalla Romania tornano gli italiani»
Prima sono arrivati gli infermieri stranieri, poi hanno fatto capolino anche i medici specialisti. «A Treviso ci sono anestesisti di Fiume, a Motta di Livenza medici croati, partono il lunedì e tornano a casa il venerdì, funziona già da vent’anni ma possiamo creare rapporti ancora più solidi con l’Est Europa partendo dalle università, per sfruttare le best practice italiane e straniere e instaurare una collaborazione che porti nei nostri ospedali i professionisti che oggi mancano».
Giovanni Pavan, dirigente dell’assistenza infermieristica all’Usl 2, è stato mente e motore del progetto che dovrebbe condurre nella Marca dieci medici romeni, specializzandi all’università di Timisoara. Un progetto che, però, sta facendo molto discutere. «Credo che i presidenti delle federazioni dei medici non sappiano bene come stanno le cose, quello dall’Est all’Italia è un flusso consolidato, i nostri ragazzi si specializzano lì dopo la laurea, i loro ragazzi vengono a studiare qui, con Timisoara abbiamo attivato per anni una rete di consulti che ha funzionato egregiamente» .
Dottor Pavan, com’è nata l’idea di prendere medici romeni?
«Da un dialogo con il direttore generale Francesco Benazzi e il direttore sanitario Marco Morgante. Per certi versi, la carenza di specialisti stava diventando drammatica, l’alternativa era chiudere i reparti o spostare il personale, cosa che avrebbe potuto creare disagi e difficoltà. Così ho suggerito di aprire un canale, grazie ai miei contatti istituzionali in Romania, poteva essere una strada».
In che modo?
«Ho insegnato in una scuola di alta formazione in Albania e sono stato vicepresidente di Informest, un centro per la cooperazione economica internazionale della Regione Veneto, stringendo rapporti con consolato e ambasciata. Abbiamo condiviso questa opportunità che ora è allo studio, speriamo che la burocrazia ci venga incontro in tempi brevi. Per il Veneto la Romania è una zona interessante non solo per il notevole numero di imprenditori che vi lavorano, ma anche per la migrazione sanitaria. E la Regione vuole diventare ancora più attrattiva».
Che valore aggiunto possono portare medici formati all’estero?
«Timisoara ha un’università di alto livello, con un’elevata capacità tecnica professionale, scuole di cardiochirurgia che formano ottimi professionisti. Manca però la tecnologia italiana. Riuscendo ad aprire un flusso di scambio può diventare per entrambi i territori un fattore di sviluppo. I programmi romeni sono già riconosciuti in Italia. C’è anche l’idea di instaurare una convenzione con l’università di Padova».
Il Corriere del Veneto