di Enrico Marro. Senatore, sulla stampa internazionale si dice che il referendum sulla riforma della Costituzione potrebbe avere più conseguenze della Brexit: un’eventuale vittoria del no e la caduta del governo Renzi aprirebbero una fase d’instabilità. Secondo lei?
«Tutti abbiamo constatato — risponde il viceministro dell’Economia, Enrico Morando — che nel Regno Unito i fautori della Brexit non avevano un piano per gestire la propria vittoria. Il Italia una eventuale vittoria del No presenterebbe le stesse caratteristiche: non voglio sembrare catastrofista, ma è evidente che lo schieramento dei contrari alla riforma il giorno dopo non saprebbe cosa diavolo fare. In ogni caso, sono convinto che non correremo questo rischio, perché gli italiani vogliono la riforma. Tornando ai giornali esteri, è evidente che il risultato del referendum ha un rilievo molto significativo sul piano economico. Il governo ha un piano per gestire la vittoria del Sì e consiste nel rilancio della sua strategia riformista».
Ma il Prodotto interno lordo si è fermato e il Def (Documento di economia e finanza) dovrà essere riscritto.
«No. Intanto, nel secondo e terzo trimestre confidiamo in un risultato migliore del Pil, grazie al buon andamento del turismo e dell’occupazione. Detto questo, l’Italia si trascina problemi strutturali, dal debito al cattivo funzionamento delle istituzioni economiche, che amplificano le conseguenze negative dell’incertezza che colpisce l’economia globale».
Che intende per istituzioni economiche?
«Si può fare un lungo elenco. Prendiamo anche la giustizia civile. Secondo i dati Ocse, una causa con tre gradi di giudizio dura in Italia 8 anni contro un anno in Svizzera. Oppure il sistema dell’istruzione, in particolare al Sud. O il prelievo fiscale su lavoro e impresa, ancora il più alto d’Europa, malgrado gli 80 euro e il taglio dell’Irap. Inoltre, siamo l’unico Paese nell’Unione a non avere uno strumento di protezione per chi si trova in povertà assoluta. E siamo al secondo posto per debito pubblico. Problemi che esistevano prima di questo governo e che stiamo affrontando».
Il Pil aumenterà quest’anno e forse anche nel 2017 meno dell’1%. L’anno prossimo l’obiettivo di un deficit pari all’1,8% del Pil non sarà rispettato. È vero che l’Italia chiederà a Bruxelles di arrivare al 2,4%?
«Per poter fare una manovra espansiva, senza violare i vincoli europei, bisogna andare sopra il due per cento. Ma il problema non è tanto questo quanto accelerare le riforme».
Quali?
«Per esempio, quella del modello contrattuale per redistribuire la produttività che si crea in azienda. Le parti sociali trovino finalmente un accordo e il governo, con la legge di Bilancio potrà mettere altri 500 milioni per finanziare la tassazione agevolata al 10% del salario di secondo livello. Dobbiamo insistere sulla riduzione della pressione fiscale su lavoro e impresa. Dopo gli 80 euro, bisogna tornare sull’Irpef, intervenendo sulle aliquote. In alternativa si possono fiscalizzare quote dei contributi previdenziali».
Questi interventi potranno essere anticipati al 2017?
«Dipenderà dall’andamento del Pil. In ogni caso, anche se non fosse possibile, credo che si debba decidere da subito cosa succederà nel 2018».
Avete promesso che l’Iva non aumenterà, eppure farebbe salire i prezzi, ancora fermi a zero, mentre il governo ha previsto l’inflazione a 1,3% nel 2017.
«Sul piano teorico non fa una piega, ma su quello politico no. Abbiamo detto che l’Iva non aumenterà e rispetteremo l’impegno perché la credibilità è fondamentale per la stessa crescita dell’economia».
Renzi ha promesso più soldi per le pensioni e i contratti pubblici per i quali i sindacati chiedono 7 miliardi in tre anni.
«Sulle pensioni le proposte del governo non farebbero certo saltare i conti pubblici. Sui contratti, i 300 milioni stanziati sono considerati giustamente insufficienti, ma nemmeno si può ipotizzare di scrivere nella manovra quello che chiedono i sindacati».
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha detto che la priorità sono gli investimenti?
«Certo. Penso quindi che sia necessario confermare il super ammortamento sugli investimenti, rafforzare il credito d’imposta nel Sud e quello sulla ricerca e l’Ace per le imprese che reinvestono gli utili. Per gli investimenti pubblici locali una spinta verrà dal superamento dei vincoli del patto di Stabilità interno. Su quelli nazionali contiamo sulla regola europea della flessibilità. Infine, un capitolo importante è quello degli sgravi sulle ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico. Vanno stabilizzati e resi fruibili anche per i palazzi anni 60 e 70 delle nostre città. Finora, infatti, delle agevolazioni non ne hanno beneficiato gli incapienti, cioè le famiglie a basso reddito che spesso vivono in questi condomini e non possono detrarre nulla. Dobbiamo trovare meccanismi per coinvolgere fondi pubblici e privati nella realizzazione di questi interventi, trasferendo su di essi lo sgravio».
Il Corriere della Sera – 18 agosto 2016