L’intervista alla direttrice del dipartimento di Scienze biomediche comparate dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie
PADOVA. Il 13 dicembre sarà a tu per tu con il ministro della Salute Renato Balduzzi per tentare, forse per l’ultima volta, di sbrogliare la matassa del suo trasferimento dallo Zooprofilattico alla Torre della Ricerca. Ilaria Capua, inserita dall’Economist nella lista delle persone che più influenzeranno il 2013, ammette di essere una scienziata che non ha paura di rompere gli schemi, di superare «le vecchie regole che vanno contro il buon senso». Riceve premi, riconoscimenti. Con la stessa voglia di cambiare il mondo pubblica studi scientifici e libri per il grande pubblico, per dimostrare che le donne, anche di bell’aspetto, «possono fare ricerca, per di più in un ente pubblico. E, udite, udite, pure in Italia».
Il suo libro si intitola “I virus non aspettano”. Lei ha intenzione di attendere che le istituzioni superino l’impasse?
«La Città della Speranza ha posto come limite per la risoluzione del problema il 31 dicembre. Di conseguenza, a meno di colpi di scena, non potrò far altro che iniziare a spedire in giro il mio curriculum dall’1 gennaio. Intanto ho svolto la procedura per l’abilitazione a professore ordinario. Non c’è ripicca, qui a Padova, in Veneto, si può fare buona ricerca. Lo Zooprofilattico è stato un’ottima piattaforma per sviluppare la spirale virtuosa che ci ha portato dal piccolo gruppo che eravamo ad essere centro di riferimento mondiale per l’aviaria, la rabbia. Ma il laboratorio, le 75 persone che lavorano con me, meritano di poter dare il massimo. Giovedì sarò dal ministro per parlare di questo».
Che dirà a Balduzzi?
« Gli spiegherò che il trasferimento nella Torre è un’occasione unica per la ricerca, per studiare le malattie emergenti, per creare una collaborazione medico- veterinaria che ha pochissimi esempi nel mondo».
Crede che sia questo suo lottare per superare vecchi schemi che ha convinto l’Economist a premiarla?
«Sono una persona che conosce le regole, le rispetta, ma che non esita a lottare quando si rende conto che una norma deve essere cambiata. L’Economist cita il mio impegno per le donne, per il sostegno della ricerca al femminile. Si può essere ricercatrice senza avere la sindrome di Condoleeza Rice. Si può essere uno scienziato senza rinunciare ad essere una donna, una madre. Ci vuole energia, grinta, ma ce la si può fare».
Come mai ha scelto di scrivere un libro per il grande pubblico?
«Ho voluto dare una testimonianza di vita reale, dimostrare che le cose, se lo si vuole, si possono fare. Racconto aneddoti, storie divertenti della mia vita che tolgono un po’ di allure all’idea di scienziato. È stata l’occasione per prendermi anche un po’ in giro. Ogni capitolo però è intervallato da rapidi spunti di riflessione su di un tema cui tengo».
Lei ha a cuore le donne e nel libro non esita a svelare il suo lato più femminile. Sostiene che le donne italiane siano costrette al di sotto di un soffitto di cristallo che impedisce loro di realizzarsi.
«L’Italia sforna laureate brillanti, la cui luce spesso si affievolisce sotto il peso di retaggi culturali, aspettative genitoriali, pigrizia e paura di osare. Mi viene una gran rabbia, come quella che provo quando vedo boccioli di rosa con il capo chino, quelli che so non si schiuderanno mai».
Il Mattino di Padova – 9 dicembre 2012