Nel mirino anche i decreti che hanno permesso all’impresa di proseguire l’attività. Le emissioni dell’Ilva finiscono sotto processo a Strasburgo: la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha deciso di aprire un procedimento contro lo Stato italiano, accusato di non avere protetto la salute dei tarantini.
Un nuovo elemento di frizione lungo l’iter di cessione e rilancio del gruppo siderurgico che proprio ieri ha registrato un’accelerazione: Marcegaglia e ArcelorMittal hanno comunicato ufficialmente ai commissari la volontà di presentare un’offerta con una joint venture aperta potenzialmente anche ad altri soci; ancora in attesa di formalizzazione, invece, l’offerta di Arvedi, che studia un eventuale supporto di Leonardo Del Vecchio mentre i turchi di Erdemir restano interessati. Il termine ultimo per presentare le offerte è fissato per il 30 maggio.
Ma nel frattempo, come detto, il governo è stato ieri messo sotto accusa dal Cedu e da 182 cittadini di Taranto (e di alcuni comuni vicini) che, nel 2013 e nel 2015, si sono rivolti alla corte di Strasburgo. Alcuni rappresentano i congiunti deceduti, altri i figli minori malati. Nel ricorso collettivo, promosso dalla capogruppo dei Verdi in Consiglio comunale a Taranto, Lina Ambrogi Melle, viene contestato il mancato rispetto di alcuni articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si sostiene, innanzitutto, che «lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la salute» dei ricorrenti, «in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri» (redatto nel maggio 2014 dall’Istituto superiore di Sanità).
I ricorrenti contestano inoltre al governo i decreti «Salva Ilva», con i quali ha di fatto concesso la continuazione delle attività del polo siderurgico. Secondo i ricorrenti così facendo lo Stato ha violato il loro diritto alla vita e al rispetto della vita privata e familiare, aggiungendo che in Italia non possono beneficiare di alcun rimedio effettivo per vedersi riconoscere queste violazioni.
Circa un anno fa i giudici di Strasburgo aveva dichiarato inammissibile il ricorso di una donna che sosteneva una correlazione tra la sua malattia e le emissioni dell’Ilva: la decisione di ieri, hanno confermato all’Ansa fonti della Corte, lascia intendere che le prove presentate dai ricorrenti contro l’operato dello Stato sono molto forti, almeno sufficientemente solide in via preliminare.
L’avviso, che indica l’inizio del procedimento, è stato comunicato al governo il 27 aprile. Si tratta di una «procedura di comunicazione», prevista dall’art. 45 del Regolamento della Corte, e non obbligatoria: viene attivata quando una camera di sette giudici decide che è opportuno avvertire il governo di uno Stato membro della Convenzione europea dei diritti dell’uomo di essere accusato di violazione della Convenzione stessa. In questo caso in realtà i ricorsi sono due, molto simili: il primo è stato introdotto da 52 cittadini di Taranto il 29 luglio 2013, e il secondo da altri 130 cittadini il 21 ottobre 2015.
Per ragioni simili (inquinamento industriale e mancata protezione della salute umana), il governo italiano è anche oggetto di una procedura d’infrazione da parte della Commissione Ue. La procedura, dopo un «parere motivato» pubblicato dalla Commissione il 16 ottobre 2014, è prossima allo stadio finale, il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di Lussemburgo (da non confondere con la Corte europea dei diritti di Strasburgo, organismo internazionale). L’Esecutivo comunitario ha aperto anche un’indagine approfondita per verificare se siano stati concessi all’Ilva aiuti di Stato incompatibili con il diritto Ue.
Matteo Meneghello – Il Sole 24 Ore – 18 maggio 2016