Parere parzialmente negativo sull’applicazione della tassa per gli immobili ad uso misto (commerciale e non) di enti no profit
ROMA – Al termine della sentenza, dopo il PQM (Per Questi Motivi) il parere è favorevole, ma il Consiglio di Stato ha espresso lo stesso molti dubbi sul cuore del provvedimento e di fatto ha invitato il governo a riscrivere il Regolamento ministeriale sull’Imu alla Chiesa nei tre punti fondamentali delle attività miste degli enti no profit (scuole ed alberghi, ma soprattutto sanità) comprese quelle della Chiesa. Tanto che il Governo accoglierà i rilievi del consiglio di Stato, e riscriverà le parti richieste del decreto del ministero dell’Economia, anche perché il Consiglio di Stato ha messo in guardia dalla procedura d’infrazione in base alle regole di concorrenza europea in cui potrebbe incappare il nostro Paese in seguito a questa formulazione del Regolamento.
PARTI LIMITATE – La Sezione consultiva (relatore Riccardo Chieppa) ritiene infatti che «alcune limitate parti dello schema di regolamento debbano essere ricondotte a coerenza con i menzioni principi comunitari, anche allo scopo di evitare il rischio di una procedura di infrazione avente ad oggetto il nuovo atto normativo». «A tal fine – sostiene la sentenza – si ritiene necessario inserire e valorizzare nel testo del regolamento il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario».
E il Consiglio suggerisce di modificare il Decreto già «All’art. 1, comma 1, lett. p), contenente la definizione di attività non commerciale», dove «occorre, inserire dopo “modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro” le parole “e del carattere di attività economica, come definito dal diritto dell’Unione europea». Ma è sulle attività sanitaria, didattica e recettiva che si appuntano i rilievi. E’ scritto nella sentenza: «I suddetti principi vanno applicati con riferimento ai requisiti contenuti nell’art. 4 dello schema di regolamento, che non appaiono rispettarli quanto meno con riferimento all’attività assistenziale, sanitaria, didattica e ricettiva (ndr)».
ATTIVITÀ ASSISTENZIALE E SANITARIA – «In particolare, con riferimento all’attività assistenziale e sanitaria, l’art. 4, comma 3 prevede due requisiti alternativi, autonomamente idonei a qualificare l’attività come non commerciale: a) nel caso in cui le attività sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestando a favore dell’utenza, alle condizioni previste dal diritto comunitario o nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale; ovvero b) sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale». Viene innanzitutto messo sotto la lente di ingrandimento il cosiddetto regime di accreditamento: «In relazione alla lett. a), si osserva che il regime di accreditamento, convenzionamento o altro tipo di accordo con le competenti autorità pubbliche non esclude di per sé la sussistenza del carattere economico dell’attività, e che la menzionata gratuità dei servizi offerti è attenuata da una non meglio precisata possibilità di partecipazione alla spesa ai fini della copertura del servizio universale, che pure non esclude la predetta natura economica dell’attività. Con riferimento alla lett. b), l’utilizzo del criterio delle rette di importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale risulta essere, da un lato, di difficile applicazione e, sotto altro profilo, non è in assoluto idoneo a qualificare l’attività come non commerciale». Infine un forte richiamo alle norme UE. «Va ricordato che la Commissione europea ha precisato che il fatto che un servizio sanitario sia fornito da un ospedale pubblico non è sufficiente per classificare l’attività come non economica, essendovi in taluni casi un grado di concorrenza tra strutture sanitarie relativamente alla prestazione di servizi sanitari (Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale, in G.U. n. C-8 dell’11 gennaio 2012, punto 24). Vengono inoltre suggerite delle modifiche in modo che la nuova formulazione risulti «essere maggiormente idonea ad evitare il rischio di un contrasto con i principi comunitari, e ha il vantaggio di poter essere applicata anche ad altre tipologie di attività, come di seguito illustrato».
ATTIVITÀ DIDATTICA – Il richiamo alla gratuità del servizio o alle rette di importo simbolico, come criterio per l’esenzione, è nella sostanza assorbito dal criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio. «Tale criterio – scrive la sentenza – non sembra essere compatibile con il carattere non economico dell’attività». «Tale criterio consente di porre a carico degli utenti (studenti o genitori) anche una percentuale dei costi solo lievemente inferiore a quelli effettivi». «Secondo la giurisprudenza comunitaria – continua la sentenza – il carattere non economico dell’istruzione pubblica non è pregiudicato dal fatto che talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse di iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema, mentre va distinta l’ipotesi in cui i servizi di istruzione sono finanziati prevalentemente da alunni e genitori o da introiti commerciali». E ancora: «Il criterio della copertura non integrale dei costi appare nella sostanza ricalcare il concetto di servizi che possono essere finanziati prevalentemente da genitori e alunni, per il quale gli organi dell’Unione europea escludono il carattere non economico dell’attività.
Corriere della Sera – 14 novembre 2012