La Cina l’ha capito: regolare (e non solo regolamentare) l’import-export del food è una priorità e il porto di Shanghai, leader per arrivi di merci, è diventato una sorta di laboratorio-cartina di tornasole di tutta la tematica.
La Cina stessa, a sua volta, è vittima delle lacune nella conservazione e nel trasporto di alimenti e gran parte del food che circola va perso proprio a causa dell’inadeguatezza della catena del freddo, tanto più che la Cina si sta trasformando nel Paese leader del commercio online. La restrizione delle barriere all’ingresso, poi, diventa un importante test per capire quanto la Cina punti sulla sicurezza alimentare: è all’arrivo, infatti, che le barriere sono più forti.
In realtà il sistema di ispezione e approvazione adottato da Shanghai nel dicembre 2014 è stato approvato da tutti gli altri porti cinesi: tempo limite 10 giorni. Dallo scalo aereo di Shanghai il latte destinato alla vendita nei supermarket viene immesso in libera circolazione in 22 giorni, un canale speciale e più veloce è stato creato per il food classificato “non autorizzato” che arriva via mare. Vincente si sta dimostrando il sistema di ispezioni a campione.
Una serie di interventi specifici adottati in una cornice più generale (vedi articolo a fianco) ha creato quindi un quadro molto più articolato che le aziende devono conoscere, specie quelle che si dedicano al food e che vogliono esportarlo o lo esportano già in Cina.
La dogana è il punto cruciale. A spiegare il modello Shanghai è Jin Quan, vicepresidente di Shanghai entry-exit inspection & quarantine association, nonché vicepresidente esecutivo dell’associazione dell’entry-exit e delle aziende che importano food a Shanghai. Jin Quan ha partecipato a un seminario organizzato dalla Camera di commercio italiana a Shanghai. Antonella Sciarra, segretario generale della Camera di commercio di Shanghai, ha promosso l’evento «in considerazione del numero sempre più ampio di aziende interessate al tema e delle opportunità offerte dalle piattaforme crossborder e anche perché espressione e frutto di un gruppo di lavoro sul food guidato dal consigliere Angelo Morano».
«Il sistema adesso è molto più regolamentato – spiega Jin Quan – e questo lo rende ancora più complesso, le cose da sapere aumentano a vista d’occhio. Ma le novità servono a velocizzare gli arrivi e a certificarne la qualità».Due i siti da tener d’occhio: http:ire.eciq.cn e www.shianwang.net, utili per capire il sistema Shanghai.
Anche impiantare un’azienda agroalimentare, specie di medie dimensioni, in Cina è un’operazione complicata: valga per tutti la fabbrica modello della Ferrero, non lontano da Hangzhou, creata in due anni, un tempo giudicato anche breve per gli standard cinesi.
«Il food & beverage è una issue molto delicata – interviene Francesco Maioli, general manager China del gruppo Cremonini -. Siamo leader nella carne fresca e siamo un simbolo, ma ci sono ancora vincoli all’ingresso di carne bovina in Cina. Quindi la battaglia per noi si sposta su un altro livello». La visita in Cina, a fine gennaio, del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha smosso le acque e gli ispettori cinesi partiranno per certificare altri stabilimenti di produzione in Italia.
Ma alla dogana di Shanghai che cosa succede? Jin Quan illustra statistiche piuttosto preoccupanti. Nella tagliola sono finiti 44 Paesi diversi, tra i quali Usa, Taiwan, Giappone, Germania, Australia e Italia, i cui prodotti sono finiti nelle maglie dei controlli.
Non bisogna farsi scoraggiare. C’è anche l’olio extravergine, per l’Italia, al quale farà bene l’accordo siglato a Pechino sulla formazione degli addetti doganali cinesi che, ovviamente, non sono troppo esperti di questo prodotto dell’eccellenza italiana. «Dobbiamo dare l’opportunità ai consumatori cinesi, sempre più attratti dalla qualità e bellezza del made in Italy, di apprezzare e gustarne i valori – afferma Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo, in visita in questi giorni a Shanghai -. Si tratta di conoscere e risolvere anche questi problemi. Io stessa sono impegnata nell’export di vino in Cina con i vini della nostra cantina, 70 ettari di vigneto in Umbria, a Todi. E per dare l’esempio sulla sicurezza alimentare abbiamo inserito, tra le nostre etichette, anche il frutto di una ricerca innovativa: una nuova produzione di vino senza solfiti aggiunti ricavata da vitigni Grechetto e Sangiovese».
Rita Fatiguso – Il Sole 24 Ore – 29 febbraio 2016