Il Sole 24 Ore, Marzio Bartoloni. Anche per l’Italia è scattato il conto alla rovescia per la terza dose. Il richiamo «booster» che riguarderà innanzitutto i 2 milioni di italiani estremamente vulnerabili e successivamente gli oltre 4 milioni di over 80 che si sono vaccinati per primi dallo scorso gennaio potrebbe già arrivare da ottobre, nove mesi dopo le prime iniezioni e subito in coda al primo round di vaccinazioni che punta a raggiungere l’80% degli italiani under 12 entro settembre. Discorso a parte per i sanitari – una platea di 1,4 milioni – immunizzati per primi ma che in questo secondo round potrebbero essere coinvolti solo in parte: la priorità potrebbe infatti essere data solo ai più esposti, quelli cioè che lavorano nei reparti ospedalieri più a rischio.
Così si sta delineando il piano italiano per la terza dose. Al ministero della Salute nulla ancora è deciso, ma proprio in questi giorni si guardano i dati, non solo quelli italiani, e si stanno «raccogliendo le idee» per una decisione che potrebbe arrivare nella seconda metà di agosto. Tra l’altro si aspettano a breve i risultati di tre studi autorizzati dall’Aifa per valutare l’efficacia dei vaccini: uno condotto sugli ospiti delle Rsa coordinato dall’Iss, uno sui pazienti in dialisi coordinato dalla Società italiana di nefrologia e infine uno studio denominato «progetto nazionale sui vaccini Covid e i pazienti fragili» coordinato dall’Asl-Ircss di Reggio Emilia e che vede tra i coordinatori l’immunologo Alberto Mantovani.
«Questi studi sono importantissimi perché ci daranno delle risposte, ma forse sarebbe stato necessario avviare da subito un massiccio piano nazionale per valutare lo stato di immunità attraverso un test validato coinvolgendo un campione rappresentativo di migliaia di italiani vaccinati verificando soprattutto il livello di anticorpi di chi si è reinfettato e quanto tempo è passato dalla inoculazione», spiega al Sole 24 Ore Guido Rasi, ordinario di Microbiologia a Tor Vergata e consulente del commissario Figliuolo. «Il problema oggi – avverte Rasi – è che non abbiamo uno studio che ci dica qual è il livello soglia che discrimina chi è immune e chi no. Chi ha un livello alto di anticorpi è sicuramente protetto, ma non sappiamo ancora però se siano protetti anche quelli che gli anticorpi li hanno bassi o non li hanno più perché grazie alle cellule di memoria, come è stato già documentato, se si incontra di nuovo il virus gli anticorpi vengono sviluppati di nuovo e quindi il vaccino potrebbe essere ancora efficace». Per Rasi la platea della terza dose deve partire da «tutti gli immunodepressi, chi è in dialisi e dai grandi anziani visto che l’immunità declina con l’età e anche i sanitari più esposti al rischio contagio».
Nelle decisioni finali peseranno anche le scelte degli altri Paesi: da una parte c’è chi come Israele ha già iniziato a dare la terza dose agli over 60 avendo iniziato per prima a vaccinare e dall’altra Paesi come gli Usa dove ancora si aspetta come ha chiarito ieri il direttore generale del Nih Francis Collins: «Al momento non ci sono prove che ci spingano a procedere con un richiamo dei vaccini. Ma il dibattito continua». E attendista è anche l’Ema, l’Agenzia Ue del farmaco: «Ancora non ci sono dati sufficienti per indicare che sia necessario un richiamo», ha chiarito ieri il direttore Emer Cooke.