Non sono bastati i farmaci sperimentali autorizzati con un decreto speciale dal ministero della Salute. Non sono bastate le infusioni di plasma appartenente a due pazienti guariti, portate con una catena di solidarietà da Spagna e Germania.
Tutte le terapie sembrano per il momento non aver avuto l’effetto sperato. E ieri sera il medico di Emergency ricoverato dal 25 ottobre allo Spallanzani di Roma dopo essersi infettato con Ebola in una missione in Sierra Leone si è aggravato. Nella notte il volontario è stato trasferito in una stanza di rianimazione di alto isolamento.
Non è un buon segnale. I medici e gli infermieri dell’ospedale, il miglior centro italiano per le malattie infettive, stanno facendo il possibile per recuperare una situazione che negli ultimi tre giorni era andata in declino. Il personale è stato richiamato d’urgenza e la squadra sanitaria composta da trenta persone sta affrontando una fase delicatissima.
Già in mattinata lo scarno bollettino medico aveva fatto presagire notizie non confortanti. Parlava di un nuovo aggravamento, del ritorno della febbre, di precarietà . «Il nostro collega sta mostrando forza e volontà incredibili», aveva dichiarato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani.
Un virus davvero molto aggressivo e dai meccanismi ancora da svelare Ebola. Colpisce diversi sistemi di cellule e obbliga a combatterlo su più fronti. Non esistono protocolli terapeutici consolidati. I ventuno pazienti curati finora in occidente hanno avuto una storia diversa l’uno dall’altro, senza che si potesse identificare una chiave per entrare in modo decisivo nei meccanismi dell’infezione.
Il volontario di Emergency ha 52 anni. Lavora nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Enna. Il primo settembre era partito per la Sierra Leone dopo aver chiesto l’aspettativa, che gli era stata riconosciuta soltanto a metà ottobre con l’intervento di Lucia Borsellino, assessore alla sanità della Sicilia. Pochi giorni dopo il contagio, mentre assisteva i malati. Non si sa come sia accaduto e che tipo di esposizione abbia avuto. Il primo sintomo è stato la comparsa della febbre. Il medico, primo caso di Ebola trattato in Italia, è arrivato a Roma con un volo speciale dell’areonautica militare.
Per assicurargli il meglio delle cure lo staff dello Spallanzani (trenta persone tra medici e infermieri) si è tenuto in stretto contatto con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con i migliori organismi internazionali, in modo da pianificare insieme le strategie sulla base delle esperienze con i pazienti guariti all’estero.
Margherita De Bac – Il Corriere della Sera – 5 dicembre 2014