Incentivi per le società che decideranno di quotarsi in Borsa. Possibilità per i Comuni che metteranno in vendita le partecipate, di “sforare” il patto di stabilità. Costituzione di fondi per dar vita a fusioni tra più aziende. E, infine, l’idea di mettere in campo due colossi di proprietà pubblica come Cassa Depositi Prestiti ed Eni, quali poli aggregatori delle società locali, in particolare nel Sud.
Governo al lavoro sulle misure che presenterà domani all’interno del decreto Sblocca-Italia e che puntano ad una riduzione della sterminata teoria di società controllate dagli enti locali. Il commissario alla Spending review, Carlo Cottarelli ne ha censite 5.264 (un quarto delle quali hanno i bilanci in rosso), ma potrebbero in realtà essere circa 8mila. Chiudendo quelle in perdita o inutili, accorpando quelle finanziariamente sane e vendendo ai privati (compresi i gruppi esteri) le aziende il cui business ha poco a che fare con i servizi di pubblica utilità, Palazzo Chigi punta a due obiettivi. Il primo è quello di ridurre gli sprechi, fino a risparmiare – sempre secondo le indicazioni di Cottarelli – oltre 2 miliardi di euro all’anno. Basti pensare che soltanto per i componenti dei consigli di amministrazione (oltre 37mila “poltrone” complessive) si spendono fino a 450 milioni di euro in emolumenti. Per non dire che ci sono società in cui il numero dei consiglieri d’amministrazione è superiore a quello dei dipendenti. Ma ancora più importante sarà usare le municipalizzate come “leva” economica per convogliare risorse finanziarie nelle casse dei Comuni. E riattivare investimenti che, con i vincoli del patto di stabilità, al momento, appaiono improponibili.
Come raggiungere l’ambizioso obiettivo di una riduzione delle partecipate da 8mila a non più mille (che sarebbe, tra l’altro, il numero delle controllate degli enti locali della Francia)? Secondo le bozze del provvedimento, ministero dell’Economia e ministero dello Sviluppo Economico si starebbero muovendo in più direzioni. La prima mossa sarà la chiusura delle società in perdita e delle cosiddette società strutturali. Per intenderci quelle nate con lo scopo di gestire una sola attività (si va dai caseifici in Campania al Casinò di Venezia). Si stanno studiando anche penalizzazioni per chi non dovesse provvedere entro una certa data. Come l’obbligo per i Comuni, quando una municipalizzata è un rosso, di accantonare in bilancio prima il 25, poi il 50 e infine il 100 per cento delle perdite. Il che potrebbe essere un problema serio per il Comune di Roma, dove la sola Atac ha un buco di 150 milioni.
Il secondo punto riguarda le società che gestiscono i servizi di pubblica utilità. In questo caso si va da società di primo piano, quotate a Piazza Affari, come A2a o Acea, fino alle piccole municipalizzate del Sud. L’intento del Governo Renzi – che ha ripreso un progetto dell’ex ministro Zanonato – è quello di incentivare fusioni tra società. Potrebbero essere le stesse utility quotate ad acquistare le aziende più piccole; come sta facendo, per esempio, l’emiliana Hera che da un paio di anni si sta espandendo in Veneto. Per rendere conveniente la cessione delle controllate, ai Comuni verrà concesso di investire i proventi della vendita al di fuori del patto di stabilità, spalmandoli su più bilanci. Allo studio, anche la possibilità di accedere a un “fondo infrastrutture” dove trovare le risorse per le varie operazioni di acquisizione da parte delle municipalizzate più grandi.
Una volta creati dei nuovi campioni, l’obiettivo è quello di spingere le società a quotarsi in Borsa. Anche in questo caso ci saranno incentivi, ma in modo che la Ue non li consideri aiuti di Stato. Per esempio, affidando le concessioni dei servizi per un periodo di 20-25 anni. Lo sbarco in Borsa – secondo le intenzioni del governo – dovrebbe migliorare l’efficienza delle società e quindi la qualità dei servizi. Gli addetti ai lavori hanno più di un dubbio che ci saranno molte quotazioni in Borsa. Sarà più probabile che le aziende già presenti a piazza Affari si avvantaggino, comprando le aziende che saranno messe in vendita. Tanto è vero che dalla metà di agosto, i titoli di A2a, Acea, Hera ed Iren hanno guadagnato tra il 15 e il 10%, con gli investitori che hanno scommesso in anticipo proprio sulle agevolazioni al settore.
C’è un ultimo capitolo che chiama in causa i colossi di Stato. Cdp ed Eni potrebbero avere un ruolo da protagonisti come polo aggregatore nel Mezzogiorno, in particolare nel settore sei servizi ambientali (in alcune province meridionali si conferisce anche il 100 per cento dei rifiuti in discarica e stanno per scattare le multe della Ue). Assieme potrebbero dar vita a un fondo infrastrutturale per la gestione dei rifiuti e della depurazione. Non a caso, per mettere ordine al settore, lo Sblocca-Italia conterrà una norma che sposterà il settore in capo all’Autorità per l’energia, un passaggio già definito dagli operatori essenziale per mettere fine alla giungla delle competenze e delle tariffe.
Repubblica – 28 agosto 2014