Aviaria. L’Oie raccomanda maggiori misure di biosicurezza per prevenire ulteriori focolai in tutto il mondo
L’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) ha raccomandato agli allevatori di adottare misure di biosicurezza più stringenti, al fine di frenare la diffusione dell’influenza aviaria in tutto il mondo. Dall’inizio del 2014, focolai di influenza aviaria di diversi ceppi sono stati riportati in oltre 35 paesi. Decine di milioni di volatili sono morti, sia a causa della malattia sia per l’applicazione delle misure di controllo. Anche se non è insolito che il virus dell’influenza aviaria continui a circolare, in particolare tra gli uccelli selvatici, la recente impennata dei focolai riaccende in tutto il mondo la necessità di una migliore attuazione delle norme intergovernative adottate dai 180 paesi membri dell’OIE in materia di sorveglianza dell’influenza aviaria, diagnosi precoce, rapida risposta alle epidemie e prevenzione e controllo; in particolare vengono richieste particolari forme di biosicurezza e, se necessario la vaccinazione del pollame.
L’epizoozia globale (focolai epidemici negli animali) di influenza aviaria sottotipo H5N1 apparsa all’inizio del 2004 ha provocato la morte di decine di milioni di volatili. Sono stati inoltre individuate diverse centinaia di casi umani. Dieci anni fa questa epidemia è stata ampiamente oggetto dell’interesse dei media, in particolare per timore che il ceppo potesse mutare in una forma trasmissibile tra gli uomini. Fortunatamente, il ceppo virale è rimasto stabile e la pandemia temuta è stata scongiurata.
Sulla base di questa esperienza e grazie all’adozione di specifiche norme intergovernative da parte dei delegati dei Paesi membri dell’OIE, molti servizi nazionali di polizia sanitaria hanno imparato a gestire i focolai di influenza aviaria e a contenerli rapidamente.
Tuttavia questo importante risultano non deve far sottovalutare gli episodi recenti. Il ceppo H7N9 apparso in Cina all’inizio del 2013 possedeva nuove caratteristiche. Era la prima volta che un ceppo “a bassa patogenicità” (vale a dire a bassa mortalità del pollame) era in grado di infettare gli esseri umani. Dopo che i mercati di pollame vivo sono stati individuati come luoghi adatti alla moltiplicazione e all’amplificazione del virus, facilitando la trasmissione all’uomo, la chiusura, seppure temporanea, di questi mercati ha portato ad un rapido miglioramento della situazione, anche se non ha risolto completamente il problema.
L’anno seguente, in Cina e Corea, è stato scoperto un nuovo ceppo “altamente patogeno” del virus dell’influenza aviaria, che ha poi raggiunto anche il Giappone. Da lì il ceppo, probabilmente attraverso i flussi migratori degli uccelli selvatici ha raggiunto India, Europa, Canada e in seguito gli Stati Uniti d’America.
Attualmente gli USA stanno affrontando anche un’epidemia di influenza aviaria H5N2 che, nel giro di pochi mesi, ha ucciso oltre 30 milioni di volatili da cortile . Finora tuttavia non sono stati segnalati casi umani connessi con il ceppo H5N8 o con quello H5N2.
In molti paesi dell’Africa sono stati confermati molti focolai di H5N1, ceppo che continua ad essere endemico in Egitto; inoltre sono stati segnalati casi in Israele e Palestina.
Per evitare la propagazione della malattia, è fondamentale mettere in atto le misure di biosicurezza raccomandate dall’OIE, sia presso le aziende che nelle fasi commerciali che nei mercati di volatili vivi,. E se ormai è stato confermato il ruolo degli uccelli selvatici, come serbatoi e vettori del virus, è evidente che esistono anche altri fattori di trasmissione che, senza le opportune precauzioni, potrebbero diventare preponderanti nella diffusione del virus.
Il recente aumento dei focolai di influenza aviaria nelle Americhe, in Africa e in Europa, e la loro persistenza in Asia, ha reso necessario per i “servizi veterinari dei paesi membri dell’OIE, attuare tutte le misure di prevenzione previste a livello di allevamento per affrontare ogni specifica situazione locale”.
Fonte: Oie e Oms – 21 maggio 2015