Si tratta del tBHQ (o E319), un additivo utilizzato come stabilizzatore dei grassi e presente negli ingredienti dei crackers, dei cibi fritti, della carne o del pesce surgelato. La ricerca, per ora limitata agli animali da esperimento, riduce la risposta immunitaria contro il virus influenzale, esacerbando così i sintomi della malattia e potrebbe ridurre l’efficacia del vaccino anti-influenzale. I risultati presentati al congresso dell’American Society for Pharmacology and Experimental Therapeutics
E’ una di quelle piccole sigle, apparentemente insignificanti, che si leggono nella lista degli ingredienti dei crackers, delle patatine, dei salatini, della carne o del pesce surgelato. Ma forse adesso, grazie ad una ricerca del dottor Robert Freeborn della Michigan State University , tutti cominceremo a fare maggior attenzione alla presenza del tBHQ (terz-butil-idrochinone), all’interno degli alimenti.
Secondo il ricercatore americano infatti, questo additivo alimentare sarebbe in grado di decapitare la risposta immunitaria che l’organismo mette in campo per combattere l’influenza; questo aumenta la gravità dei sintomi influenzali, ma potrebbe anche ridurre l’efficacia del vaccino anti-influenzale, attraverso i suoi effetti sulle cellule T.
Lo studio, condotto su modello animale (topo), sarà presentato in questi giorni ad Orlando (Florida, Usa) al congresso dell’American Society for Pharmacology and Experimental Therapeutics.
I risultati della ricerca
“Le nostre ricerche – spiega il dottor Freeborn – dimostrano che i topi nutriti con una dieta contenente tBHQ presentano una risposta immunitaria meno valida contro l’infezione da virus influenzale. Nei topi, il tBHQ ha soppresso la funzione di due tipi di cellule T, le helper e le killer; questo ha determinato sintomi di maggior gravità nel corso di una successiva infezione influenzale”.
Quando una persona viene contagiata dal virus dell’influenza, le cellule T helper aiutano a convogliare le difese immunitarie contro il virus, mentre i linfociti T killer individuano le cellule infettate e le eliminano dall’organismo. Ma le cose non vanno come dovrebbero se la dieta contiene elevati livelli di tBHQ. I topi nutriti con una dieta addizionata di tBHQ presentano infatti un’attivazione delle cellule T helper e killer più lenta e questo rallenta l’eliminazione del virus dall’organismo.
“La mia ipotesi principale – afferma Freeborn – è che il tBHQ produca questi effetti determinando l’upregulation di alcune proteine che sopprimono le difese immunitarie, la CTLA-4 e l’IL-10. Resta tuttavia da dimostrare se l’upregulation di queste proteine soppressive rivesta realmente un ruolo causale per gli effetti del tBHQ durante la stagione influenzale”. I prossimi passi della ricerca consisteranno nell’utilizzare campioni di sangue umano per indagare ulteriormente gli effetti del tBHQ sull’attività delle cellule T”.
Il tBHQ potrebbe ridurre anche l’efficacia della vaccinazione antinfluenzale
In una seconda parte dell’esperimento, i topi sono stati reinfettati, più avanti nel tempo, con un ceppo influenzale diverso, ma correlato a quello usato inizialmente. In questo caso, gli animali nutriti con una dieta contenente tBHQ hanno presentato un malattia di maggior durata e hanno perso più peso. Ciò significa che il tBHQ è in grado anche di alterare la memoria immunitaria, che aiuta l’organismo a reagire contro una successiva infezione. E, dato che questa caratteristica è fondamentale per la risposta i vaccini, il tBHQ potrebbe compromettere anche la risposta alla vaccinazione antinfluenzale.
“Sottoporsi tutti gli anni al vaccino antinfluenzale – sottolinea Freeborn – a prescindere dalla dieta al tBHQ resta comunque la migliore strategia per ridurre la gravità dei sintomi e la durata della malattia”.
Ogni anno sono 290-650.000 le persone che muoiono nel mondo per le complicanze respiratorie dell’influenza nel mondo.
Che cos’è il tBHQ e dove si trova
Il tBHQ è un additivo usato per prevenire il deterioramento dei cibi; nell’industria alimentare viene utilizzato in particolare come conservante e stabilizzante degli oli vegetali insaturi e di molti grassi animali commestibili; non causa scolorimento e non altera le caratteristiche organolettiche. Nell’elenco degli ingredienti viene indicato anche con la sigla E319.
La concentrazione massima ammessa nel cibo è di 200 parti per milione. Non è facile fare una stima dell’esposizione media a questo additivo, ma negli Usa, calcoli basati su una dieta standard portano a supporre che l’esposizione della gente al tBHQ sia il doppio dei livelli massimi suggeriti dal Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives; in altre parti del mondo, l’esposizione può arrivare anche a 11 volte il massimo suggerito. Più la dieta contiene grassi di scarsa qualità, maggiore sarà l’esposizione al tBHQ. Una semplice regola per evitare l’introduzione di quantità eccessive di questo additivo è dunque quella di consumare cibi freschi e a basso contenuto di grassi. Il tBHQ è presente nei grassi e negli oli processati (es. olio di canola), negli oli utilizzati per friggere soprattutto in alcuni ristoranti (fast food), nel pesce surgelato (anche in elevate concentrazioni), in alcune marche di latte di soia.
L’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e l’FDA (Food and Drug Administration) americana hanno stabilito che il consumo alimentare di tBHQ è sicuro alla concentrazione consentita per gli alimenti (il limite da non superare è quello dello 0,02% del contenuto di olio o grasso degli alimenti). Il tBHQ è stato tirato in ballo come possibile cancerogeno (tumori dello stomaco) e potrebbe essere implicato anche in alcune allergie alimentari.
Il tBHQ è autorizzano come additivo alimentare in Europa entro un apporto giornaliero accettabile (ADI) di 0,7 mg/Kg di peso corporeo, che è quanto aveva stabilito nel 1998 la Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA) ed era poi stato ratificato dalla stessa EFSA nel 2004. Questi limiti si riferiscono al consumo negli adulti. Non sono ancora stati stabiliti infine i livelli di sicurezza per evitare interferenze con la funzione immunitaria.
A complicare le cose c’è il fatto che non sempre la presenza di tBHQ è chiaramente indicata nell’etichetta alimentare; questo succede soprattutto quando questo additivo è contenuto ad esempio nell’olio utilizzato per friggere le patatine. “Dato che il tBHQ è utilizzato soprattutto come stabilizzatore dei grassi – consiglia Freeborn – seguire una dieta a basso contenuto di grassi, riducendo il consumo di snack processati, aiuterà automaticamente a ridurre il consumo di tBHQ”.
Maria Rita Montebelli
QUOTIDIANO SANITA
08 aprile 2019