di Dario Di Vico. Una battaglia politica vera merita una conclusione trasparente. Il presidente del Consiglio ha voluto sfidare il sindacato e la sinistra pd sui temi del lavoro e per farlo ha sposato quasi per intero le idee e le elaborazioni di due castigamatti del laburismo italiano, Pietro Ichino e Maurizio Sacconi.
In più ha scelto di mettere la fiducia sul Jobs act violando la consuetudine non scritta secondo la quale sui temi del mercato del lavoro non si operano strappi parlamentari. A questo punto sarebbe paradossale che dopo aver infranto tutti questi tabù il risultato concreto dell’iniziativa di Matteo Renzi, ovvero la nuova legge, fosse confuso, indefinito e replicasse gli errori della riforma Fornero che pure si era misurata con il superamento dell’articolo 18. L’opinione pubblica europea non capirebbe e sarebbe portata a considerarla l’ennesima vittoria del bizantinismo politico italiano, anche se in una forma forse inedita: un premier decisionista che vara una legge pasticciata. Ci sarà tempo per vedere e valutare quali saranno le formulazioni finali e che sorte sarà riservata ai licenziamenti disciplinari, ma più si ridurrà l’area dell’incertezza e della discrezionalità dei giudici meglio sarà per tutti. Almeno non ci saremo divisi invano.
La fiducia, oltre a spazzar via circa 700 emendamenti, serve anche a dare sostanza alla giornata politica di oggi. Renzi avrebbe voluto che durante il suo semestre di presidenza – non particolarmente brillante – si tenesse in Italia un vertice europeo sull’occupazione e la crescita. Alla fine ha ottenuto una conferenza informale come quella che si terrà oggi a Milano e che possiamo esserne certi non passerà agli annali, non rappresenterà una pietra miliare nella lotta contro la disoccupazione. Assisteremo a qualche discorso retorico, al solito balletto delle interpretazioni, alle limature dei testi da parte degli sherpa e a una conferenza stampa finale in cui si potrà misurare lo stato dei rapporti tra la cancelliera Merkel, il presidente Hollande e Matteo Renzi. Di proposte nuove e costruttive per produrre posti di lavoro è assai difficile che ne ascolteremo.
Le discussioni vere sul futuro dell’occupazione purtroppo si svolgono altrove. Questa settimana per la seconda volta in pochi mesi l’ Economist ha pubblicato un rapporto pessimistico sulle tecnologie che mangiano posti di lavoro. Si parla del peso che Internet ha conquistato anche in questo campo, dello sviluppo dell’ e-commerce , del nuovo artigianato, della tendenza dei giovani a inventarsi il proprio lavoro. Tutti temi che fotografano l’evoluzione (contraddittoria) del mercato reale e fanno apparire le istituzioni europee – e il nostro Parlamento – alla stregua di pachidermi che si muovono con esasperante lentezza.
Il Corriere della Sera – 8 ottobre 2014