Elena Dusi, Repubblica. Il coronavirus nell’uomo non ha ancora finito di mettersi comodo.
«Non è molto che ha compiuto il salto di specie. Si sta ancora adattando, per questo vediamo che muta e diventa più contagioso». Alessandro Carabelli, 38 anni, è un ricercatore italiano originario di Bergamo. Dirige uno dei gruppi del consorzio inglese Cog-Uk che monitora le mutazioni del coronavirus. Dal suo pc passano tutte le ultime notizie sulla diffusione delle nuove varianti.
Cosa vedete nelle vostre mappe?
«Un aumento della contagiosità. L’indice R0, che indica la capacità di diffusione di un virus in assenza di misure di contenimento, era intorno a 2,5 per il ceppo di Wuhan. La variante Alfa, quella che chiamavamo inglese, era salita tra 4 e 5. La Delta oggi è fra 5 e 7. È un fenomeno che ci aspettiamo, l’abbiamo visto anche con Ebola e vari ceppi di influenza. Quando un virus approda in una nuova specie non si trova mai in una condizione ideale. Deve adattarsi, e l’aumento della contagiosità è un aspetto importante della sua evoluzione».
Ma quando si fermerà?
«Non lo sappiamo. Quel che potrebbe accadere è che le mutazioni che conferiscono maggiore contagiosità si sommino a quelle che conferiscono la capacità di sfuggire al sistema immunitario. Delta sembra presentare alta contagiosità e un certo grado di immunoevasione, ma dobbiamo monitorare anche altre varianti che potrebbero avere caratteristiche simili, se non peggiori. Una variante al momento limitata comincia a comparire in Campania e Umbria».
Cioè?
«Per ora è un piccolo cluster di 216 casi, che sembra circoscritto. I ricercatori campani che hanno sequenziato questi virus li hanno depositati in un database pubblico, consultabile in tutto il mondo, che si chiama Gisaid. È un focolaio di variante Gamma, o brasiliana, cui si è aggiunta una nuova mutazione (P681H). Il ceppo Gamma, comparso a fine 2020, ha una certa capacità di eludere anticorpi e vaccini. La nuova mutazione invece svolge il ruolo di dividere in due la proteina spike che il virus usa per contagiare la cellula.
Scissa in due subunità, la spike contagia molto meglio. È quel che accade anche con la variante alfa o inglese e con la Delta o indiana».
Non siete preoccupati?
«Noi lo teniamo d’occhio, ma non ha ancora un nome perché i casi sono pochi. Ufficialmente appartiene ancora alla variante Gamma. Fa capire però quanto sia importante monitorare le nuove mutazioni che si accumulano alle mutazioni che le varianti possiedono già».
Molte Regioni oggi in Italia si propongono di sequenziare tutti i casi positivi. È una buona notizia?
«Sequenziare è utile, ma non c’è bisogno di arrivare al 100% dei casi. Noi in Gran Bretagna siamo intorno al 50% (con circa 20mila sequenze a settimana), ma anche il 20%, purché a campione, può bastare per rendersi conto di cosa sta accadendo. Le indagini con copertura molto alta sono necessarie per i focolai, per i casi associati a sintomi più gravi o per le infezioni che avvengono nonostante la vaccinazione».
In Gran Bretagna la variante Delta ha acceso molti focolai nelle scuole. A settembre avremo un rientro complicato?
«Non si può escludere. A giugno in Gran Bretagna le scuole hanno registrato molte infezioni, sia con la variante Alfa che con la Delta. Le ultime due settimane del mese, dall’inizio delle vacanze, i contagi sono calati fra gli scolari, ma sono saliti quelli legati ai viaggi. A scuola pesano due fattori: la mancanza di vaccinazioni fra i ragazzi e la maggior contagiosità della Delta».
Ci siamo ripetuti che il peggio è alle spalle. Siamo troppo ottimisti?
«Non so, fare scenari oggi è difficile. Abbiamo parte della popolazione immune perché guarita, una quota di vaccinati, e l’effetto delle varianti. Bisogna sicuramente sbrigarsi a vaccinare e non potremo tanto presto abbandonare le precauzioni».
I produttori di vaccini non stanno portando in produzione le nuove versioni riadattate alle varianti.
«La protezione resta piuttosto buona anche con le varianti. AstraZeneca previene il 60% delle infezioni sintomatiche dovute a Delta, Pfizer l’88%, ma entrambi sono efficaci del 90% nel ridurre ricoveri e sintomi gravi. Ma non possiamo abbassare la guardia. La partita è ancora in corso».