Sms della scorsa settimana: «Quanto ho fatto finora è niente rispetto a questi due angioletti. È una fortuna aver avuto i gemelli. Tutto doppio. Anche l’amore». Ieri, verso le 6 del pomeriggio, al telefono risponde sottovoce: «Le dico solo che sto allattando. È meraviglioso, sono felice». In sottofondo, brevi gorgheggi di accompagnamento alla poppata.
Lei ha il tono vellutato. Di sicuro sta sorridendo. È a casa da venerdì scorso con i due fagottini, Lavinia e Francesco, Beatrice Lorenzin. La prima intervista dopo il parto è tutta sulla maternità («e per favore niente politica»). Ma di tanto intanto la sua anima da ministra della Salute riaffiora.
Quando tornerà al lavoro?
«Appena i bambini potranno uscire sarò in ufficio con loro. Al ministero abbiamo il nido, finanziato con i contributi dei dipendenti. Li metterò lì e continuerò ad allattarli finché posso. Spero almeno sei mesi. È una fortuna, ma le mamme che non possono farlo non si sentano in colpa. Le polveri artificiali sono un’ottima alternativa».
Come ha vissuto la gravidanza?
«Ho trasferito l’ufficio a casa. L’ultimo mese l’ho passato ferma a letto, i collaboratori al mio fianco. Fino all’ultimo ho firmato documenti e chiuso progetti importanti. Il piano sulla fertilità, la campagna contro l’alcol fra i giovani, il secondo malato di Ebola ricoverato allo Spallanzani. Insomma, non mi sono fatta mancare nulla. Faticoso e appassionante. La maternità dà sprint, è un valore aggiunto. Non si fa abbastanza per tutelarla».
Eppure di leggi per il sostegno della maternità ne sono arrivate. Lei ha voluto introdurre il bonus bebè per le mamme con basso reddito. Il Jobs Act contiene norme che danno diritto allo sconto su babysitter e iscrizione all’asilo. Si deve fare di più?
«Molto di più. Non è una questione di congedi. Serve un cambiamento culturale che porti a valorizzare la donna nel periodo più importante della sua vita considerando il suo ruolo sociale specie in una fase di denatalità del Paese. Le culle si svuotano. Non è giusto che appena partorito si debba tornare in ufficio con l’angoscia e con tempi non elastici».
Uno dei decreti attuativi del Jobs Act prevede che durante il congedo parentale di sei mesi possa essere chiesto il part time e l’obbligo da parte del datore di lavoro di concederlo. Che ne dice?
«Ottimo, il part time è uno degli elementi chiave. La maternità rende più produttive».
Un parto facile?
«Un cesareo d’urgenza. Domenica 7 giugno ero a casa e stavo scrivendo quando ho sentito dei doloretti strani. Il mio ginecologo mi ha imposto per telefono di filare diritta in ospedale. Dopo mezz’ora ero in sala operatoria. Alessandro, il papà, è entrato con me. Ho partorito da donna normale, il personale era quello di turno. Ho scelto l’anestesia spinale dunque ero sveglia, li seguivo con gli occhi. Erano sconcertati perché non se l’aspettavano di dovermi assistere. E allora ho detto, ragazzi lavorate tranquilli, andrà tutto bene, fate conto che sia una paziente come tante. Solo dopo, quando l’ansia si è rarefatta ho potuto piangere, a lungo. Ho sempre desiderato avere figli, sono mamma per vocazione»
Curiosa di fare la paziente per osservare come funzionano le neonatologie in un ospedale pubblico, in questo caso il San Pietro Fatebenefratelli?
«Ebbene sì, lo ammetto. Non ho dimenticato il mio ruolo. Mi sono resa conto personalmente dei problemi delle neonatologie dove le emergenze sono all’ordine del giorno e vengono ricoverati bambini molto prematuri o con patologie. Sono rimasta colpita dall’abnegazione del personale, dalla professionalità ma anche dalle carenze che tocca a noi amministratori sanare. Sono stata fortunata. I miei pupetti sono nati alla 36ma settimana e non hanno avuto bisogno della terapia intensiva».
E la politica?
«Ha una domanda di riserva? È nel mio essere ma ora non fa parte delle priorità. La sto seguendo con grande attenzione. Ora la devo lasciare perché faccio il cambio della poppata…».
Margherita De Bac – Il Corriere della Sera – 17 giugno 2015