«La Finanziaria è andata anche in Europa», dice con sollievo Matteo Renzi, convinto di aver trovato un accordo che permetta di fermare la procedura per bocciare la legge di bilancio che era stata avviata da Bruxelles. Nel giorno in cui, al tavolo ovale dei leader europei, Mario Draghi lancia una nuova sfida chiedendo a tutti i governi di presentare entro dicembre un «calendario preciso e verificabile» di riforme economiche, l’Italia porta a casa un’intesa politica sulla Finanziaria accettando di rafforzare la riduzione del deficit strutturale.
Un risultato salutato dalla conferma del rating dell’Italia con outlook stabile da parte di Fitch, che è frutto anche di un gioco di squadra con la Francia, a sua volta sotto tiro per l’annunciata intenzione di sfondare ancora una volta i parametri del Patto di stabilità. Mentre Renzi a Bruxelles picchiava i pugni sul tavolo e sollevava con forza il problema politico di una Europa che non può arroccarsi in manovre recessive, Hollande e i francesi hanno negoziato in silenzio con i tedeschi per ottenere il via libera della Merkel ad una soluzione di compromesso. Alla fine, la Cancelliera ha dato il suo benestare. Anche perché sa che nei mesi a venire le occasioni di ulteriori verifiche sulla tenuta dei conti e sull’attuazione delle riforme non mancheranno: dall’analisi degli squilibri macroeconomici, alla valutazione della riduzione del debito, al varo del crono-programma di riforme proposto ieri da Draghi e da lei fortemente appoggiato. E dunque Italia e Francia restano con una pistola puntata alla tempia. Quale sarà il punto di compromesso sulle modifiche alla Finanziaria? «Stanno definendo i dettagli — ha risposto Renzi — non vi sono preoccupazioni. Nelle prossime ore verrà chiuso quello che deve essere chiuso. Credo che si risolverà, c’è’ spazio per trovare un punto di intesa. Oggi ci si e’ avvicinati abbastanza». Fonti italiane lasciano intendere che l’ipotesi di accordo con la Commissione si baserebbe sulla disponibilità del governo ad alzare la correzione del deficit strutturale da 0,1 a 0,3%, rispetto allo 0,7 richiesto da Bruxelles. Si tratterebbe di uno sforzo aggiuntivo di circa due miliardi e mezzo che rientrerebbero nei margini di accantonamento già previsti. La Commissione non conferma né smentisce queste indiscrezioni, anche perché i negoziati tra Roma e Bruxelles sono ancora in corso. La Francia, che aveva previsto una riduzione del deficit dello 0,2% a fronte di una richiesta di Bruxelles dello 0,8, starebbe lavorando ad una intesa su un taglio dello 0,5%.
Ma ieri, nella seconda giornata del vertice dedicata all’analisi della situazione economica, l’attenzione è stata monopolizzata dall’intervento di Mario Draghi.
«Nel 2011-2012 abbiamo evitato il collasso dell’euro con uno sforzo comune, ora dobbiamo farlo di nuovo per evitare di ricadere in recessione.
Tutti speriamo che l’eurozona torni a crescere. Ma la speranza non e’ una strategia», con queste parole il presidente della Bce ha incalzato i capi di governo europei. «La zona euro è in una fase critica, l’economia ha perso slancio, gli investimenti sono deboli, la fiducia è scesa, la credibilità è a rischio, l’inflazione è ai livelli più bassi mai registrati, molti degli impegni presi non sono stati seguiti da fatti».
Secondo Draghi, l’unico modo per ridare fiducia all’Europa passa per una rinuncia dei governi a parte della sovranità nazionale in materia di politica economica e di riforme strutturali. Non è una novità: lo va ripetendo da mesi. Ma questa volta il presidente della Bce è entrato nei dettagli chiedendo a tutti governi di presentare per il prossimo vertice di dicembre «un programma dettagliato e verificabile» delle riforme economiche che si sono impegnati a varare. Angela Merkel, smentendo le voci di dissapori comparse di recente sulla stampa tedesca, lo ha appoggiato con forza: «Sono grata a Draghi per averci messo ancora una volta davanti ad uno specchio».
E la Ue chiede più soldi a Italia e Gran Bretagna Cameron:“Io non pago”
Non paghiamo. Il premier britannico David Cameron ha definito sconcertante e inaccettabile la richiesta Ue di versare 2,1 miliardi come “conguaglio” per i contributi dovuti dal Regno Unito a Bruxelles, in seguito alla revisione dei criteri di calcolo del Pil varata quest’anno con l’adozione del sistema “Sec 2010”. Una revisione che è stata accolta da molte polemiche perché, tra i nuovi criteri, c’è quello di considerare anche le stime dei proventi della prostituzione e del traffico di droga.
Adottate le nuove regole, sono stati rivisti i conti pubblici dal 1995 al 2013: se il prodotto cresce, alla Ue è dovuto un contributo annuale più alto, ed è quello che è successo, oltre che alla Gran Bretagna, anche all’Italia che dovrà versare entro l’1 dicembre altri 340 milioni, alla Grecia, debitrice di una novantina di milioni, e ai Paesi Bassi, che hanno ricevuto una richiesta di 642,7 milioni. E se invece il Pil si riduce, come è successo a Germania e Francia, la Ue dovrà restituire diversi milioni ai Paesi in questione. Che infatti sono contrari a qualunque revisione dei principi adottati. Favoriti dal “Sec 2010” anche Belgio, Danimarca e Spagna. Ma Cameron non ci sta: «Non pagherò quel contributo il primo dicembre», ha detto. Il premier italiano Matteo Renzi si è espresso in termini più cauti, prendendosela con «la tecnocrazia e la burocrazia europea». La cancelliera tedesca Angela Merkel, pur difendendo le regole, ha ammesso che non è facile trovare due miliardi entro l’1 dicembre. Mentre il presidente uscente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso ha richiamato i Paesi alle regole: «Capisco la sorpresa e la preoccupazione di alcuni premier, ma sono regole decise dagli Stati membri».
Secondo una fonte del governo italiano, la settimana prossima si terrà una riunione a Bruxelles, con l’obiettivo di rivedere i numeri contestati.
Repubblica – 25 ottobre 2014