La crisi ha avuto un impatto pesante sul lavoro, con oltre mezzo milione di occupati in meno, di cui più della metà nel Mezzogiorno. Secondo il rapporto annuale Istat, «in Italia l’impatto della crisi sull’occupazione è stato marcato. Nel biennio 2009-2010 gli occupati sono scesi di 532mila unità, di cui ben 280mila al Sud . La flessione riguarda anche il Nord (-1,9%, pari a -228mila unità), «mentre le regioni centrali rimangono sostanzialmente indenni dalle ricadute della crisi». Circa i tre quarti della caduta dell’occupazione «hanno riguardato l’industria in senso stretto (-404mila), nonostante l’ampio uso della Cig (ordinaria, straordinaria, in deroga)».
Al Sud «la discesa della manodopera industriale è doppia in confronto al Centro-Nord (rispettivamente 13,8% e 6,9%), contribuendo a ridurre ancora di più il tasso di industrializzazione di questa area geografica».
Occupazione giovani cala 5 volte più del totale
È proseguita nel 2010 la caduta degli occupati tra i 18 e 29 anni (-182mila unità) dopo quella particolarmente significativa del 2009 (-300 mila unità). In termini relativi, il calo dell’occupazione giovanile (-8,0 e -5,3%, rispettivamente nel 2009 e nel 2010) «é stato circa cinque volte più elevato di quello complessivo». Nel 2010, «é occupato circa un giovane ogni due nel Nord, meno di tre ogni dieci nel Mezzogiorno». Il calo dell’occupazione, osserva ancora l’Istat, «si é concentrato nell’occupazione permanente a tempo pieno (-1,7%, pari a -297mila unità), a differenza di quanto accaduto nel 2009, quando aveva interessato tutte le figure lavorative».
L’Istat rileva inoltre che nel 2010 l’occupazione é rimasta stabile per le donne ma é peggiorata la qualità del loro lavoro. È infatti scesa «l’occupazione qualificata, tecnica e operaia (-170mila unità), ed è aumentata soprattutto quella non qualificata (+108mila unità). Si tratta soprattutto di italiane impiegate nei servizi di pulizia a imprese ed enti e di collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere».
Donne meno pagate degli uomini
Altri fattori di peggioramento qualitativo dell’occupazione femminile sono: la crescita del part time, «quasi interamente involontaria e concentrata nei comparti di attività tradizionali (commercio, ristorazione, servizi alle famiglie e alla persona) che presentano orari di lavoro poco adatti alla conciliazione con i tempi di vita»; l’aumento delle donne sovra istruite «con un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta»; la disparità salariale di genere «che rimane notevole nel 2010. Infatti, la retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti é in media di 1.077 euro contro i 1.377 euro dei colleghi uomini, in termini relativi circa il 20% in meno». Complessivamente, osserva l’Istat «la partecipazione delle donne al mercato del lavoro continua a essere molto più bassa in Italia rispetto al resto d’Europa».
Due milioni i giovani “scoraggiati” nella ricerca del lavoro
Da segnalare infine come siano circa 2 milioni nel 2010 gli italiani che hanno rinunciato a cercare lavoro. Di questi 1,5 milioni sono effettivamente «scoraggiati», ovvero hanno deciso di smettere di cercare un impiego perchè convinti di non poterlo trovare, mentre circa 500mila sono ancora in attesa degli esiti di passate ricerche. Gli scoraggiati sono ormai il 10% della popolazione inattiva, con una punta di poco inferiore al 16% nel Mezzogiorno. Si tratta di una percentuale ai vertici della classifica dei Paesi europei. Infatti, conclude l’Istat, «rispetto all’insieme dei Paesi dell’Unione, l’Italia registra un’incidenza più che doppia, sul totale delle non forze di lavoro (15-64 anni), degli inattivi scoraggiati». La quota italiana è più che doppia rispetto a quella della Spagna e sei volte quella della Francia.
Rapporto annuale Istat: l’Italia è l’economia europea cresciuta meno nel decennio
Nel decennio 2001-2010 l’Italia è stata l’economia europea cresciuta meno, con un tasso medio annuo pari allo 0,2%, contro l’1,1% dell’Uem: lo evidenzia l’annuale rapporto Istat presentato a Montecitorio assieme al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e al presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il ritmo di espansione della nostra economia è stato inferiore di circa la metà a quello medio europeo nel periodo 2001-2007, e il divario si è allargato nel corso della crisi e della ripresa attuale.
Nella media del 2010 l’economia italiana è cresciuta dell’1,3%, contro l’1,8% della media Ue. Nel primo trimestre del 2011, in Italia la crescita è stata dello 0,1% su base congiunturale (come già nell’ultimo del 2010) e dell’uno per cento in termini tendenziali, mentre nella media dell’Europa la crescita è stata dello 0,8% su base trimestrale (dallo 0,3 di fine 2010), e del 2,5% rispetto ai primi tre mesi del 2010.
Fini: no a false aspettative, sì a interventi per la collettività
Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini bisogna intervenire e «non sono di aiuto nè banalizzazioni nè semplificazioni eccessive». «Si deve infatti evitare di innescare nell’opinione pubblica – sostiene Fini – reazioni emotive e di alimentare aspettative inevitabilmente destinate ad essere frustrate; al contrario, è sempre più urgente elaborare, sulla base di conoscenze neutre e puntuali, strategie e interventi di riforma modellati in modo tale da rispondere pienamente, e nel tempo, agli interessi generali della collettività».
Giovannini: Italia, paese vulnerabile. Crescita del tutto insoddisfacente
D’accordo il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini: «il sistema Italia appare vulnerabile, più vulnerabile di qualche anno fa», con un ritmo di crescita del tutto insoddisfacente. Secondo Giovannini «l’economia nazionale mostra evidenti difficoltà nella fase di ripresa, meno sostenuta di quella di paesi a noi vicini come Francia e Germania. Tale andamento si spiega con una dinamica molto contenuta della domanda interna, frenata dalla riduzione dei redditi delle famiglie e dall’amplia capacità produttiva inutilizzata, oltre che dalle difficoltà delle imprese italiane a competere sui mercati europei e sullo stesso mercato nazionale».
Famiglie sempre più in bolletta
Tornando alla fotografia dell’Istat, emerge un Belpaese che arranca (la crisi ha portato indietro le lancette di quasi 10 anni e la ripresa è moderata), con le famiglie che hanno usato i risparmi per fronteggiare le spese. L’Italia, insieme alla Germania «ha subito la maggior caduta» del Pil, che nel 2008 e 2009 é rispettivamente calato del 7% e del 6,6%, mostrando poi, al contrario di Berlino, un «recupero molto modesto: a marzo 2011, il Pil in Italia è ancora inferiore di 5,1 punti percentuali rispetto al primo trimestre 2008, mentre il recupero é stato completo in Germania e, per l’insieme dei Paesi europei, il divario da colmare é di 2,1 punti percentuali».
Ilsole24ore.com – 23 maggio 2011