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Italia quinta al mondo per tasso di mortalità. Vicini a quota 100mila, due terzi al Nord. Oltre 57mila decessi soltanto in Lombardia, Veneto, Emilia e Piemonte

Il Sole 24 Ore, Marzio Bartoloni. È il 21 febbraio 2020 quando muore un 78enne del paesino di Vo’ tra i colli Euganei da giorni ricoverato a Schiavonia. La diagnosi non lascia dubbi: è Covid. La mattina dello stesso giorno a 200 chilometri di distanza Codogno, 15mila abitanti nel Lodigiano, si sveglia con l’assedio delle telecamere. Il giorno prima – esattamente il 20 febbraio di un anno fa – si è scoperto il presunto paziente zero, un manager 38enne da qualche giorno ricoverato in ospedale. Sono passati 365 giorni, un anno che sembra una vita, e da allora si sono aggiunti altri 95.234 morti (se si contano anche i 347 di ieri) e 2.780.882 positivi al Covid (con gli oltre 15mila casi in più rispetto al 18 febbraio) , un dato quest’ultimo sicuramente sottostimato e che va moltiplicato almeno per due o per tre. Se si considerano le vittime è come se fosse stata cancellata dalla cartina dell’Italia una città come Ancona e se si contano i positivi complessivi è come se tutti gli abitanti di Roma si fossero contagiati.
Con differenze evidenti lungo lo Stivale: nel Nord sono concentrate due terzi delle vittime (oltre 65mila) e 57mila soltanto in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte epicentro della prima ondata con quasi 1,5 milioni di contagi. E sempre nel Settentrione si conta in media il triplo dei contagi di quelli del Sud.

Dopo un anno in cui si è vissuto prima un rigido lockdown a marzo del 2020 e poi tante chiusure più mirate nelle Regioni che ogni settimana si colorano di rosso, arancione o giallo, il virus è più insidioso che mai. Non esiste ancora una cura risolutiva e le varianti rischiano di inficiare i vaccini proprio alla vigilia della campagna di massa. Con i numeri che ci dicono che l’Italia è tra i Paesi più colpiti al mondo perché ad oggi è quello con più morti nell’Unione europea e il primo, dopo il Regno Unito, che raggiungerà nel giro di una decina di giorni i centomila vittime. Un record che secondo l’Istat ci riporta al tasso di mortalità del 1946 e che ci vede in cima anche a livello mondiale. Se si prende in considerazione il tasso di mortalità che calcola le vittime in base alla popolazione e non ai contagiati (il cosiddetto tasso di letalità è più aleatorio in quanto legato alla capacità di scoprire i positivi) l’Italia è addirittura quinta al mondo con 157 morti per 100mila abitanti, dietro solo a Belgio, Slovenia, Regno Unito e Repubblica Ceca e prima di altri grandi Paesi investiti dallo tsunami del Covid come Usa (ottavi con 1.517 morti ogni 100mila abitanti), Spagna (dodicesima con 1.426 morti per 100mila abitanti) e Francia (ventesima con 1.276 per 100mila abitanti).

A restituire una fotografia precisa sui numeri di un anno di Covid è l’ultima elaborazione realizzata per il Sole 24 Ore dal centro studi «Lavoro e Welfare» che sottolinea anche come i dati non siano sempre attendibili perché varia tra i Paesi il modo di contare i morti: se l’Italia segue le indicazioni Oms, il Regno Unito a esempio conta solo chi muore entro 28 giorni dalla diagnosi di Covid e la Francia conteggia soltanto le vittime in ospedale e nelle Rsa. «Quella contro il Covid è una guerra ancora in corso come ha detto Draghi – spiega Cesare Damiano presidente di «Lavoro e Welfare» ed ex ministro del Lavoro – e miete molte vittime. Ne abbiamo contate oltre 500 al giorno nella prima ondata poi ad agosto erano una decina e lì abbiamo sprecato l’occasione di fermare il virus e così, nel pieno della seconda ondata a dicembre, siamo arrivati a 600 morti al giorno. Da gennaio a oggi i decessi sono ancora più di 400, ma con l’incognita delle varianti la situazione potrebbe diventare di nuovo esplosiva». «Per questo – secondo Damiano – bisogna puntare su due fronti: avere molti vaccini a disposizione e mobilitare tutte le risorse possibili, medici, farmacisti, medici del lavoro, medici Inail, per vaccinare la popolazione in ogni luogo possibile compreso il posto di lavoro coinvolgendo anche i 332 fondi sanitari complementari con 10 milioni di iscritti per fare moral suasion sulla necessità di vaccinarsi. E poi – conclude Damiano – bisogna rinunciare ai lockdown a fisarmonica, ma programmare una chiusura drastica limitata nel tempo per abbassare definitivamente la curva e poi riaprire aggiornando e ampliando i protocolli con le parti sociali».

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