Repubblica. La sera del 21 febbraio 2019, quando all’ospedale di Schiavonia il Covid uccise Adriano Trevisan, 77enne pensionato, nessuno avrebbe mai osato immaginare che, 380 giorni dopo, l’Italia avrebbe contato 100.000 morti. Un numero spaventoso, secondo in Europa solo al Regno Unito che ha superato le 124.000 vittime ma che, negli ultimi due mesi ha abbattuto il tasso di mortalità da 18 a 2,5 ogni milione di abitanti grazie alla sua politica di vaccinazione di massa e alla scelta di mettere subito in sicurezza i più anziani e fragili. Cosa che l’Italia, che finora ha vaccinato solo un over 90 su 3 e un over 80 su quattro, non ha fatto consentendo al virus di continuare la sua strage senza fine.
Nell’ultima settimana, con un tasso del 5,1 ogni milione di abitanti, il nostro Paese è in Europa quello che piange ogni giorno più vittime. Con una media di 300 al giorno destinate, secondo le stime dell’Ispi, a raggiungere di nuovo quota 500 tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima per effetto della variante inglese e dell’aumento dei ricoveri in terapia intensiva. Cifre sempre più spaventose sulle quali il vaccino impatta ancora pochissimo. Altre migliaia di morti (2.200 solo nell’ultimo mese) che secondo l’Ispi avremmo potuto risparmiarci se avessimo subito messo in sicurezza i più anziani e fragili. E invece, basta guardare le tabelle dei vaccinati, l’Italia ha scelto di dare priorità oltre al personale ospedaliero anche a decine di migliaia di persone che gravitano a vario titolo nel mondo della sanità.
L’ultimo studio messo a punto dai ricercatori dell’Ispi è impietoso: due dosi su tre sono andate a persone con meno di 70 anni. La fascia tra i 70 e i 79 è quella più indietro, solo il 2,8 per cento di somministrazioni. «Dopo il Giappone l’Italia è il Paese al mondo con la popolazione più anziana e dunque più a rischio. E purtoppo la curva dei decessi è destinata a salire, da circa 300 decessi al giorno a 500 — spiega Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi di Milano — L’aumento dei decessi non ha ancora raggiunto il suo picco e l’effetto vaccino è ancora molto ridotto. Nel giro di due settimane dovremmo cominciare a riscontrare una diminuzione della mortalità del 17 per cento, ma se avessimo concentrato i vaccini nella fascia di popolazione più a rischio oggi conteremmo già un abbattimento della letalità del 48 per cento. Già a febbraio, con la disponibilità dei pochi vaccini che avevamo, avremmo potuto vedere una diminuzione dei morti del 25 per cento, in altre parole se si fosse scelto di dare priorità alle fasce più a rischio avremmo avuto 2.200 morti di meno nell’ultimo mese». Come avvenuto in Israele e nel Regno Unito.
L’identikit delle 100.000 vittime del virus in Italia disegnato dall’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità è quello di un paziente, età media 81 anni ( che si alza fino ad 86 se donne) con tre o più patologie a fronte di un’età media dei contagiati che si è attestata sui 48 anni. Nelle ultime settimane, i deceduti sono stati ancora più anziani e con più patologie, dunque i soggetti in assoluto più fragili. Dei 100.000 morti solo 1.055 avevano meno di 50 anni e di questi 36 senza alcuna patologia. La Lombardia, con il 30%, seguita da Emilia Romagna e Veneto, sono le regioni che hanno pagato il tributo più alto. Numeri che rilanciano la battaglia dei medici di famiglia per vaccinare subito i più anziani e i pazienti con patologie e stroncare la corsa delle categorie professionali a passare avanti a tutti.