No dagli azzurri. Il premier: la parità non sono le quote. L’Italicum torna in Aula, senza paracadute. E stasera o domani, se tutto va bene, la riforma del sistema di voto sarà approvata in prima lettura dalla Camera. Matteo Renzi si sente «a un passo dal traguardo», anche se la vigilia di trattative non ha sbloccato il braccio di ferro su parità di genere, salva-Lega, candidature multiple e delega al governo sui collegi.
«Siamo a una giornata cruciale per la democrazia — si augura la presidente Laura Boldrini —. La legge elettorale dovrebbe chiudersi senza imprevisti». Il condizionale è d’obbligo visto che il premier è convinto che «la parità vera non si ottiene per legge». Certo, se si trova una soluzione condivisa è «felice» anche lui.
I cellulari degli addetti ai lavori sono rimasti accesi tutta notte. Da una parte Denis Verdini, Renato Brunetta e Francesco Paolo Sisto, plenipotenziari di Berlusconi. Dall’altra Graziano Delrio, Lorenzo Guerini e Maria Elena Boschi, ai quali Renzi ha lasciato carta bianca. «L’impianto c’è, ma è evidente che ci sono ancora posizioni diverse — tira le somme a sera l’onorevole Guerini — Si tratterà ancora, fino all’ultimo. Siamo impegnati a trovare una posizione condivisa da tutti, se poi non salta fuori è chiaro che l’Aula è sovrana». Ultimo appello, per convincere Berlusconi a chiudere un’intesa prima di cominciare a votare, con i tempi contingentati e cento emendamenti da sfrondare, tra cui uno insidioso di Ignazio La Russa sulle preferenze. Ma l’ex premier resiste, la parità per legge non gli piace e il relatore Sisto avverte: «Siamo fermi al testo originario dell’accordo tra Berlusconi e Renzi. Noi siamo per la parità di genere, ma obbligare un partito a candidare un uomo e una donna è incostituzionale. Cerchiamo di non produrre danni irrimediabili sull’onda dell’emotività».
Ma se non si trova la quadra tra l’alba e le 11 la battaglia si sposta in Aula, dove le deputate (da Moretti a Ravetto) indosseranno una simbolica t-shirt bianca. «E lì starà ai partiti rispettare il patto» è la sfida di Sisto, che smentisce uno scambio tra parità di genere e salva-Lega: «Non esiste». Nel Pd invece se ne parla e molti temono che la battaglia delle donne possa finire con un escamotage facilmente aggirabile: se passa l’emendamento per il 40 per cento di donne capilista, con le candidature multiple a Berlusconi basterebbe candidare la stessa signora in otto collegi e il giochino sarebbe fatto… Eppure Emanuele Fiano, capogruppo del Pd in commissione, conferma il «cauto ottimismo» del fronte renziano.
Il premier-segretario è convinto che l’accordo con Berlusconi reggerà, che si potrà festeggiare il primo via libera alla legge elettorale e che subito dopo il treno delle riforme si sposterà a Palazzo Madama. Il piano di Renzi è procedere in parallelo portando avanti assieme Italicum e riforma del Senato, così da spazzar via il sospetto di un patto segreto per andare al voto con due modelli differenti. I senatori lo aspettano al varco. Renato Schifani e Anna Finocchiaro hanno avvertito che non faranno i semplici notai. La minoranza del Pd è in fibrillazione e i numeri, si sa, sono risicati. Eppure Renzi non sembra preoccupato. «Non sarà una passeggiata — ha detto ai suoi — Ma non possiamo consentire che la palude ci risucchi. Dobbiamo superare il bicameralismo perfetto, lo chiede l’opinione pubblica e gran parte del Parlamento è d’accordo».
No, non sarà una passeggiata. Lo conferma Felice Casson, vice capogruppo del Pd: «La riforma del Senato? Un pastrocchio, saremo in diversi a non votarla. Non sarà facile per Renzi arrivare alla maggioranza… Anzi, io penso che non la proporrà così com’è. È assurda». Perché? «I 108 sindaci che entreranno nel nuovo Senato, faranno i sindaci o i senatori? Temo sovrapposizioni e conflitti di interesse enormi. Renzi verrà a spiegarci la riforma, poi si discuterà e si voterà. Ma con gli slogan non si va da nessuna parte. La partita è tutta da giocare».
Corriere della Sera – 10 marzo 2014