Si lavora sino all’ultimo secondo sui quattro decreti del Jobs Act, attesi oggi in Consiglio dei ministri per il varo definitivo. Al centro dell’attenzione dei tecnici del ministero del Lavoro e di Palazzo Chigi c’è ancora la norma sui controlli a distanza dei lavoratori, contenuta nell’articolo 23 del decreto semplificazioni. Nessun vertice ieri tra il ministro Giuliano Poletti e il premier Matteo Renzi. Il previsto incontro per fare il punto politico è stato rimpiazzato da una telefonata e dall’invito a procedere con le limature finali.
In particolare, non sembra alle viste un accoglimento di quanto proposto in sede parlamentare e caldeggiato dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. Ovvero il ritorno all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori almeno per quanto concerne i controlli con videocamera. In una bozza del decreto in questione, circolata nelle ultime ore, si legge: «È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che abbiano quale finalità esclusiva il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori ». Una frase aggiunta per circoscrivere l’utilizzo delle tecnologie di sorveglianza alla tutela del patrimonio aziendale e alla sicurezza del lavoro. Non esattamente quanto suggerito dal Parlamento e cioè la cancellazione del comma.
Il punto di caduta della discussa norma è dunque ancora in gestazione. La svolta potrebbe venire dalla verifica in corso dei tecnici e ruota attorno alla plausibilità giuridica dell’inserimento di una sanzione penale per punire l’eventuale utilizzo fraudolento delle riprese e alla sua compatibilità «con l’impianto complessivo del decreto». L’imprenditore che le usa solo per spiare il dipendente potrebbe rischiare il carcere. Su questo e gli altri nodi aperti deciderà oggi il premier Renzi. Ma non è improbabile che alla fine il testo rimanga nella sostanza quello del Cdm di giugno (prima del passaggio alle Camere). E dunque: accordo con i sindacati per la videosorveglianza, semplice informativa al lavoratore e rispetto della privacy per smartphone, tablet, portatili, badge. Il monitoraggio di questi strumenti aziendali potrà essere usato anche a fini disciplinari, dunque per motivare un licenziamento.
«Qualche ritocco è probabile che ci sia», ha confermato ieri a SkyTg24 il ministro del Lavoro. «Manca poco, troveremo un equilibrio tra il rispetto della privacy e l’esigenza di avere una norma chiara». Poletti è poi tornato sulla vicenda dei dati sbagliati sull’occupazione, forniti dal suo dicastero la scorsa settimana e corretti il giorno dopo: «Ero furibondo, è un errore che non si deve fare. Ma quando c’è, con onestà bisogna ammetterlo e rimediare. Abbiamo attivato una verifica interna, sono sicuro che non si ripeterà». Infine una gaffe. A telecamere accese dice che «dovrebbe esserci un impianto unico» nella contrattazione, tra pubblico e privato. Poi con una nota chiarisce che non intendeva riferirsi al Jobs Act e all’articolo 18, la cui estensione agli statali comporterebbe la loro licenziabilità.
Oggi in Cdm arrivano anche i cinque schemi di decreti attuativi della delega fiscale accompagnati dalle indicazioni fornite dal Parlamento. Tra i suggerimenti la possibilità di rivedere o cancellare gli sconti fiscali ogni cinque anni, la notifica via posta certificata della cartella esattoriale, il calo dell’aggio di Equitalia dal 4,65 all’1% se si paga entro 60 giorni (dopo si scende dall’8 al 6%). E l’opzione di sostituire i dirigenti decaduti delle Agenzie delle Entrate con dipendenti di fascia alta.
Repubblica – 4 settembre 2015