Contro l’emergenza disoccupazione che ha raggiunto il livello record degli ultimi 35 anni (12,9%) Matteo Renzi studia un intervento in tre mosse con l’obiettivo di dare una scossa al mercato del lavoro e ampliare la rete di protezione sociale favorendo la creazione di nuovi posti. Taglio da 10 miliardi del cuneo fiscale, estensione dell’ammortizzatore universale ai parasubordinati (8-9 miliardi di costo) e semplificazioni contrattuali.
Sono questi i tre punti del piano lavoro che il team di esperti chiamati dal premier – sotto la regia del responsabile economico del Pd Filippo Taddei e della responsabile Lavoro Marianna Madia (divenuta nel frattempo ministro della Pa) – sta completando e che dalla prossima settimana sarà sul tavolo del neo ministro del Lavoro.
A Giuliano Poletti il delicato compito di trovare una sintesi tra la proposta del Pd e quella degli alleati di governo, per elaborare una proposta condivisa, insieme al ministro dello Sviluppo economico e al Mef impegnati nella ricerca delle coperture. Poletti nei prossimi giorni terrà incontri informali con i rappresentanti delle parti sociali, ma il tempo corre: il premier ha annunciato che tra 15 giorni la proposta del governo sarà pronta. Sul taglio del cuneo fiscale è noto l’ammontare dell’intervento (10 miliardi), mentre va definito se verrà fatto esclusivamente attraverso una riduzione dell’Irap o solo in parte a vantaggio delle imprese (circa 2,5 miliardi), lasciando il resto delle risorse alle detrazioni per i lavoratori dipendenti come chiesto dai sindacati.
Tre forme di tutela
La proposta del Jobs act del Pd che è ancora allo stadio di bozza, prevede un intervento sugli ammortizzatori sociali che poggia su tre pilastri. Il mantenimento della costanza del rappporto di lavoro nelle aziende in crisi rimarrebbe assicurato da un utilizzo più “virtuoso” della cassa integrazione, che non verrà più concessa per mantenere in vita aziende decotte, ma solo quando vi sono i presupposti per la ripresa. Tra le ipotesi c’è anche l’anticipo di un anno della fine della cassa in deroga, che per la legge Fornero dovrebbe cessare dopo il 2016. Un secondo pilastro è il cosiddetto ammortizzatore universale esteso ai parasubordinati, una sorta di nuova Aspi, che conservando un principio mutualistico-assicurativo sarà su base contributiva. Si ipotizza una durata di 2 anni (l’Aspi va da 8 a 14 mesi, a seconda si abbiano meno di 50 o 55 anni), l’importo dovrebbe restare quello dell’Aspi (75% della retribuzione mensile con il limite a 1.180 euro). Secondo i tecnici che stanno lavorando sul dossier servirebbero grosso modo le stesse cifre che si spendono per Aspi e cassa in deroga, ovvero circa 8-9 miliardi di euro annui. A beneficiare dell’ammortizzatore, oltre ai collaboratori, ci sarebbero anche gli attuali destinatari della cassa in deroga. Essenziale sarà lo stretto legame con le politiche attive: la mancata accettazione del lavoro offerto farà decadere il sussidio. Il terzo pilastro è rappresentato da uno strumento di sostegno alla povertà, disponibile per chi non ha requisiti contributivi.
Il contratto di inserimento
Allo studio c’è anche un contratto di inserimento a tutele crescenti a tempo indeterminato. Sono due le opzioni per l’applicazione: solo per il primo contratto (compresi i disoccupati di lunga durata), o per i giovani. Per la prima fase, in caso di licenziamento non verrà applicato l’articolo 18 – il diritto alla reintegra scatta solo in caso di licenziamento discriminatorio – che viene sostituito da un’indennità risarcitoria. Per i contratti a tempo determinato sono due le ipotesi; la conferma dell’attuale disciplina o l’allungamento dagli attuali 12 a 36 mesi della durata del contratto acausale, per cui l’impresa non deve motivare le ragioni del ricorso.
Ncd: priorità apprendistato
Il contratto di inserimento, tuttavia, è a rischio. Potrebbe essere soggetto a modifiche profonde, in fase di discussione a livello di governo. «Con la collega Madia, oggi buon ministro del lavoro pubblico, abbiamo convenuto tre linee comuni di intervento – spiega il presidente dei senatori del Nuovo centro destra Maurizio Sacconi –. Occorre investire molto sull’apprendistato che rappresenta il vero contratto a tutele progressive, bisogna promuoverne la diffusione con incentivi più robusti. Per far ciò bisogna evitare forme di cannibalismo come il contratto unico». Gli altri due punti concordati, ricorda Sacconi, sono il «taglio del cuneo fiscale e l’aumento delle tutele attive e passive dei senza lavoro».
Il Sole 24 Ore – 2 marzo 2014