Il corto circuito del Pd sulla Web tax a questo punto è completo. «È un errore per mille motivi. Evitare l’elusione è un tema sacrosanto ma non lo si risolve con questa battaglia» ha ribadito ieri il segretario del Pd, Matteo Renzi, rispondendo a delle domande su Twitter. «Chiediamo al governo di approfondire questo argomento in sede europea e non votare questo testo» ha poi ribadito come aveva detto nel suo primo discorso da neoleader.
Gli opposti partiti «Web tax sì», «Web tax no» ieri si sono di nuovo affrontati iniziando a seminare anche un pizzico di imbarazzo politico visto che la proposta è stata già approvata venerdì sera in commissione Bilancio della Camera nel corso dell’esame della legge di Stabilità. E che il governo aveva già fatto sapere di affidarsi all’esame della commissione.
Tra i sostenitori ieri è emerso Carlo De Benedetti che a Mix 24 di Giovanni Minoli su «Radio24» ha detto: «Io penso che Renzi sulla Web tax sia stato mal consigliato». «Rinviare il problema — ha aggiunto — e dire risolviamolo in Europa mi sembra un po’ buttare la palla in tribuna, ecco». «Mi sembra che Google sia un’azienda stupenda, che ha portato molto beneficio e innovazione nell’ambito della navigazione su Internet e in genere della conoscenza, ma non vedo per quale ragione debba essere esentata dal pagare le imposte quando ha un’organizzazione stabile in Italia, con la quale realizza fatturati e utili imponenti. E così come le paghiamo tutti le imposte, non si capisce perché non le paghi Google, piuttosto che Facebook, piuttosto che Amazon» ha argomentato De Benedetti.
La Web tax è sicuramente nata con un ingenuo difetto di comunicazione (pretendere di avere seguito con un nome come Web tax oggi come oggi è come pretendere che qualcuno accetti una tassa sulla democrazia). A questo si è aggiunta anche la sfortuna che, come si sa, è cieca eppure ci vede benissimo: lo sponsor della tassa è stato il presidente della commissione, Francesco Boccia. Così l’hashtag su Twitter è diventato «Boccia-la-web-tax».
A difesa della tassa è sceso in campo il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato: «Ci sono società con sede all’estero, che utilizzano lavoratori con contratti non nazionali e vendono in Italia prodotti per migliaia euro. Se lasciamo fare questo significa che la nostra impresa che produce le stesse cose può benissimo chiudere». Zanonato ha però riconosciuto che «il problema bisogna affrontarlo in modo preciso. La legge lo affronta in modo un po’ grossolano», «non vogliamo in nessun modo limitare l’accesso a Internet ma le aziende che vendono un prodotto su Internet devono essere messe nelle stesse condizioni» delle aziende che vendono lo stesso prodotto in modi tradizionali .
18 dicembre 2013