Settantatré euro. Per quanto sia davvero difficile immaginare che un singolo pasto in una mensa di un ufficio pubblico, per quanto di livello extra, possa costare ai contribuenti una cifra simile, sarebbe questo uno dei sorprendenti effetti collaterali della rescissione dei contratti per i palazzi Marini da parte della Camera.
Parliamo di quei quattro stabili che una quindicina d’anni fa l’amministrazione di Montecitorio aveva preso in affitto dall’immobiliarista nonché allevatore di cavalli Sergio Scarpellini per dare una scrivania a ogni deputato. A un costo medio annuo di 547 euro al metro quadrato, più il prezzo dei servizi. Per un totale sborsato, in tre lustri, di gran lunga superiore al mezzo miliardo: cifra che sarebbe stata più che sufficiente per acquistare tutti quegli immobili.
Finché un bel giorno, grazie soprattutto alle denunce pubbliche sull’enormità di quella spesa e al pressing determinante del Movimento 5 Stelle, che l’anno scorso è riuscito non senza resistenze a far passare una legge per consentire allo Stato di interrompere gli affitti passivi prima della scadenza pur in assenza di clausole precise, la Camera ha deciso di rescindere i contratti risparmiando una montagna di quattrini. E il 21 gennaio scorso sono state restituite le chiavi. Ma con un piccola coda: uno strascico da un milioncino di euro.
Nel più grande dei palazzi Marini c’è anche la mensa per i dipendenti. Il servizio è curato da 45 dei 426 lavoratori della società Milano 90 di Scarpellini che potrebbero perdere il posto in seguito alla rescissione dei contratti.
Per questo da mesi stanno andando avanti le trattative con i sindacati e per cercare di tamponare la situazione è scesa in campo anche la Regione Lazio che sta esaminando la possibilità di metter in campo le procedure di mobilità. Nel frattempo gli uffici dei deputati sono stati trasferiti in un altro stabile della Camera, a vicolo Valdina. E in attesa di perfezionare l’operazione del trasloco con un nuovo appalto per i servizi, si è deciso di far funzionare ancora la mensa fino alla fine del mese di febbraio.
Qui però viene il bello. Perché per tenere aperta la mensa e assicurare l’agibilità dei locali la società di Scarpellini ha richiesto il pagamento dell’affitto per tutto l’immobile, che resterà comunque completamente inutilizzato. O meglio, ci saranno i 45 addetti alla mensa più altri 45 lavoratori di solito impiegati nei servizi al piano. I quali però, com’è facilmente intuibile, non avranno proprio nulla da fare. «Uno spreco assolutamente insensato di denaro pubblico», per il questore di Scelta civica Stefano Dambruoso che ha votato contro la decisione presa dall’ufficio di presidenza della Camera. Non prima di aver messo per iscritto il proprio dissenso in una lettera girata a tutti i suoi componenti. Nella quale ha anche fatto i conti. Sommando all’onere del servizio mensa il canone per il palazzo vuoto, «l’operazione avrebbe un costo complessivo di 991.291,14 euro».
Siccome poi «la media giornaliera dei pasti presso la mensa di palazzo Marini 3 mi viene riferito essere di 399, è facile calcolare che il costo di un singolo pasto, attesa la durata contrattuale di 34 giorni, sarebbe di 73 euro, considerando anche l’apertura il sabato e la domenica». Immediata la replica della Camera: «quei conti sono sbagliati, ogni pasto costa 17,50 euro». E la saga continua…
Corriere della Sera- 24 gennaio 2015