Cita Alcide De Gasperi, il presidente della Corte di cassazione. Il leader democristiano del Dopoguerra che poteva contare sulla maggioranza assoluta ma preferiva le alleanze. «La politica è pazienza, era solito ripetere, e la pazienza non è sinonimo di immobilismo, bensì è virtù di governo», scandisce il primo giudice d’Italia nell’aula magna del «palazzaccio» di piazza Cavour, davanti alle massime autorità dello Stato.
Per altri impegni è assente il giovane e rapido capo del governo Matteo Renzi, che dell’andare di corsa, senza troppe mediazioni, ha fatto un punto di merito; le parole dell’anziano magistrato suonano rivolte a lui, tanto più quando invoca «il rifiuto di ogni soluzione improvvisata».
Subito dopo Santacroce cita il Papa, ricordando «la prudenza che Francesco ha indicato come la prima virtù dei giudici». E stavolta parla ai suoi colleghi: «Al pari della prudenza, la pazienza implica, anche per i i giudici, il possesso di un elevato equilibrio interiore, capace di dominare le spinte provenienti dal proprio carattere, dalle vedute personali, dai propri convincimenti ideologici».
Sono le indicazioni guida per un discorso d’inaugurazione dell’anno giudiziario diverso dal solito; il primo senza capo dello Stato, dopo otto ani di ininterrotta presenza di Giorgio Napolitano. I rilievi di Santacroce sulla situazione della giustizia arriveranno, ma dopo l’affondo verso la politica. Italiana e non solo: «Il pericolo più grave è rappresentato dalla possibilità che la politica sia “asservita” alle scelte economiche, e che l’economia assurga al ruolo di guida delle decisioni politiche, innalzandosi a unico parametro», dice. E se i governanti non riescono a sottrarsi, lo stesso può accadere ai magistrati: «Il rischio è che, nell’intraprendere l’opera di riforma, anche l’esercizio della giurisdizione venga valutato non per l’efficacia con la quale risponde all’effettiva tutela dei diritti, ma per il conformarsi alle esigenze dell’economia».
Parole che verranno riprese dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, il quale mette in guardia da «una lettura efficientistica ed economicistica della giurisdizione». Tuttavia ribadisce la necessità delle riforme, proprio per sostenere la «funzione centrale della politica». Quelle istituzionali e quelle in materia di giustizia, che nel confronto tra potere esecutivo e potere giudiziario trovano però pochi punti in comune. Orlando rivendica gli sforzi fatti e Santacroce, come il procuratore generale Ciani, dà atto che alcune modifiche, soprattutto nel settore civile, stanno dando buoni risultati. Ma sul penale restano le distanze.
Il presidente della Cassazione ribadisce che le riforme sono «una delle priorità ineludibili», ma avverte quelle «a costo zero non sono sufficienti». Alcune proposte considerate utili «sono rimaste pressoché inascoltate», e di fronte a emergenze come la corruzione, aumentare le pene come vuole fare il governo serve a poco: «La gravità della sanzione non assicura un effetto di deterrenza, sicché appare criticabile la tendenza del legislatore a inasprire continuamente le pene detentive». Vero è che così si allungherebbero i tempi di prescrizione, ma finché la decorrenza continuerà a partire dalla commissione del fatto (che a volte «è occulto, come nella corruzione», e quindi viene scoperto molto tempo dopo), anziché dall’inizio delle indagini, il problema rimarrà.
Anche il pg Ciani batte sugli stessi tasti. Se la prende con i pubblici ministeri troppo deboli con le «lusinghe dell’immagine, della popolarità e soprattutto della politica», ma poi attacca la politica per «l’impropria e deprecabile contestazione di talune decisioni giudiziarie, anche da appartenenti alle istituzioni». Spiega come sia «un fatto fisiologico che una sentenza di condanna (o di assoluzione) sia ribaltata in Appello», e pare abbastanza chiaro il riferimento alle polemiche e agli attacchi ai pm e ai giudici di primo grado dopo l’assoluzione di Berlusconi in Appello per il «caso Ruby». Così com’è chiaro il riferimento alla Procura di Milano quando dice che «le problematiche interne a taluni importanti uffici non hanno inciso sull’efficacia della loro azione nel contrasto alla criminalità», una sorta di riconoscimento al procuratore Bruti Liberati nella disputa senza fine con l’aggiunto Robledo.
Quanto alla produttività dei giudici, a cui qualcuno imputa l’eccessiva lunghezza dei processi, Ciani ricorda che nonostante «persistano sacche di inefficienza e di scarsa laboriosità», quella dei suoi colleghi è tra le più alte d’Europa. Ed ecco, anche da parte del pg, la stoccata a Renzi: «Si potrebbero abolire anche tutte le ferie per i magistrati italiani, ma il problema della prescrizione resterebbe inalterato». Tra un mese Ciani lascerà l’incarico, e la pensione obbligatoria per tutti a 70 anni lascerà sguarniti, contemporaneamente o quasi, centinaia di uffici direttivi e semidirettivi. Soprattutto in Cassazione, dove la «rottamazione» coinciderà con una «decapitazione che comprometterà ogni possibilità di efficiente organizzazione dell’attività della Corte», accusa Santacroce. I giudici e il Csm hanno chiesto uno scaglionamento delle scadenze, per evitare la paralisi generalizzata. Il ministro annuncia che «il governo si riserva un’ulteriore riflessione».
Giovanni Bianconi – Il Corriere della Sera – 24 gennaio 2015