Costituzionalmente legittimo il blocco delle progressioni economiche e di carriera, inizialmente previsto fino al 31 dicembre 2013 e già prorogato al 31 dicembre 2014 dal dpr 122/2013 (la legge di stabilità confermerà ulteriormente il congelamento dei trattamenti economici per tutto il 2014). Lo ha sancito la Corte costituzionale con la sentenza 17 dicembre 2013, n. 310, che ha sostanzialmente rigettato la questione di legittimità costituzionale sollevata da una serie di tribunali amministrativi regionali, in merito all’estensione dell’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/201°, in particolare ai docenti delle università. La disposizione censurata, come è noto, impedisce materialmente l’incremento della spesa del personale pubblico, potenzialmente discendente dall’attivazione di due istituti.
Il primo è la “progressione di carriera”, un tempo denominata “progressione verticale”. E’ un sistema per consentire ai dipendenti pubblici di ascendere ad una qualifica di inquadramento più elevata, e dunque ad una retribuzione maggiore, oggi attivabile mediante concorsi pubblici con riserva di posti non superiore al 40%. Il secondo istituto è quello della “progressione economica”o “progressione orizzontale”, che permette ai dipendenti pubblici di ottenere un incremento della retribuzione fissa e continuativa, col passaggio ad una posizione economica maggiore, pur rimanendo inquadrati nella stessa categoria o qualifica, e mantenendo identica mansione.
La Consulta ha rigettato tutti i motivi di illegittimità costituzionali eccepiti, basati essenzialmente sulla violazione dei principi di parità di trattamento dei lavoratori e sull’applicazione dell’articolo 36 della Costituzione, in merito alla spettanza di un equo trattamento economico.
La sentenza evidenzia che nessuno dei principi enunciati dalla Costituzione risulta violato, considerando che la disciplina delle retribuzioni pubbliche può essere soggetta a interventi del legislatore, posti a perseguire l’interesse generale, mediante un contenimento della spesa del personale.
L’articolo 9, comma 21, della legge 122/2010, ancorché imponga un significativo sacrificio ai dipendenti pubblici, lo ha previsto come misura straordinaria ed a tempo determinato, nonostante il termine inizialmente previsto sia stato posticipato. Né, continua la Corte, si vìola l’articolo 23 della Costituzione: non si tratta, infatti di una sorta di «contributo di solidarietà», di un prelievo o di una riduzione di un quantum spettante, bensì di una misura di contenimento della spesa, per altro riferita ad istituti, le progressioni economiche, solo eventuali. Che, oltre tutto, possono quanto meno avere effetti giuridici.
La norma, conclude la Consulta, non si presta a censure condivisibili sul piano della sua eventuale illogicità. Proprio perché volta a disporre misure di contenimento della spesa pubblica in un contesto di crisi economica conclamato, che si è anche aggravato negli anni successivi alla sua entrata in vigore, si presenta come misura sì di sacrificio per i dipendenti pubblici non irragionevole. Né è ravvisabile la possibilità di non applicarla a specifici settori del lavoro pubblico, come quello della ricerca e dell’istruzione universitaria, essendo rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni.
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Luigi Oliveri – ItaliaOggi – 18 dicembre 2013