Francesco Olivo. Un governo gli spagnoli ancora non ce l’hanno, in compenso si dividono sull’eterna questione: che fare con i tori? Si avvicina la primavera, con le sue feste popolari, spesso e volentieri accompagnate da spettacoli di tauromachia, ma il clima non è spensierato come dovrebbe. I tempi, anche in politica, sono cambiati e il settore fiuta la minaccia: alla guida di tante città ci sono i nuovi partiti, specialmente Podemos, ostili alle tradizioni, e anche i vecchi sono sempre più sensibili alle spinte dell’opinione pubblica, impressionata dal sangue degli animali.
I toreri in prima fila
Così, nel pieno delle celebrazioni delle Fallas a Valencia, la festa più attesa dell’anno, sono scesi in strada a decine di migliaia i difensori delle corride (40 mila per gli organizzatori, 30 mila per la polizia): in prima fila c’erano i toreri più celebri, Enrique Ponce, El Juli, José Tomás, Sebastián Castella, José María Manzanares, Morante de la Puebla, il coro è stato praticamente uno solo: «Libertà, libertà».
La messa al bando
Accanto alle star delle arene, c’erano anche allevatori (i ganaderos), impresari e tantissimi appassionati: tutti contro la minaccia di mettere fine a questa tradizione antica, amata e odiata, e messa al bando in alcune regioni della Spagna, a partire dalle Canarie e dalla Catalogna. Alcune città, La Coruña e Palma di Maiorca, negli ultimi mesi si sono dichiarate antitaurine, mentre a Madrid gli ex indignados hanno tagliato i fondi alla scuola taurina, suscitando grande scandalo. «È la Jihad degli animalisti», ha gridato il cantante argentino Andrés Calamaro. Intorno, immancabili, le proteste dei contrari, alcuni attivisti nudi, altri macchiati di sangue.
«Valori da difendere»
Alla fine il corteo («il più grande di sempre») è arrivato nella Plaza de Toros della città e il valenciano Ponce ha letto un manifesto carico di enfasi, che descrive bene il sentimento della categoria: «Ci sentiamo abbandonati dalla politica, eppure siamo portatori di valori sociali e umani. Siamo il supporto fondamentale della biodiversità del Paese, con i 500 mila ettari di terreno destinato all’allevamento del toro “bravo”. Gli animalisti siamo noi, dove andrebbero questi tori se non fossero liberi in queste tenute?». Insomma, il tentativo è quello di ribaltare il punto di vista, con un’opinione pubblica sempre più colpita dalle immagini cruente delle «ferias» spagnole, come quella spietata di Tordesillas, il Toro de La Vega, che ha occupato giorni interi il dibattito della campagna elettorale dello scorso dicembre. «Se fossero così attenti ai tori, non li ucciderebbero», ribatte il sindaco di Valencia, Joan Ribó, nazionalista alleato di Podemos. Ribó ha lanciato una proposta: «Introdurre una corrida alla portoghese, che finisce senza la morte dell’animale». Un’idea che la piazza di domenica nemmeno prende in considerazione.
Parlamento spaccato
La politica è divisa nei blocchi di sempre: il Partito popolare sostiene apertamente la tauromachia, che nelle zone dove governa e ha governato, è stata addirittura dichiarata «bene d’interesse culturale». Dopo il terremoto elettorale del maggio scorso, però, molti territori sono finiti in mano a socialisti (tiepidi abolizionisti) e Podemos, questi ultimi particolarmente avversi alle arene. Il quesito nel sondaggio lanciato dal giornale conservatore La Razón descrive bene il sentimento diffuso nella destra: «Credi che ci sia una persecuzione della sinistra contro la tauromachia?», il 92% risponde di sì.
La Stampa – 15 marzo 2016