I salumi soffrono ma resistono ai colpi della crisi, anche se ora, al quarto anno negativo, la situazione diventa più difficile. La produzione di salumi ha registrato nel 2013 una flessione dell’1,5% a 1,179 milioni di tonnellate mentre il fatturato, pur registrando un aumento dei prezzi, è arretrato a quota 7,943 miliardi di euro (-0,5%). Per l’Assica, l’Associazione degli industriali delle carni e dei salumi, il 2013 è stato il terzo anno critico. «Nell’anno più difficile della crisi – ha commentato il presidenete Lisa Ferrarini, nel corso dell’assemblea di ieri – l’export ha rappresentato l’unica forza del settore e questo grazie al fatto che produciamo prodotti che piacciono non solo ai Paesi europei ma soprattutto ai paesi terzi». L’export è aumentato del 5,7% a 1,182 miliardi di euro: un traino che ha però dovuto fare i conti con le barriere non tariffarie dei mercati più redditizi, i Paesi extra Ue.
Gli industriali lamentano l’incapacità del nostro Paese di debellare alcune malattie veterinarie negli allevamenti italiani (come la peste suina e la vescicolare) che limitano la gamma dei prodotti esportabili e i Paesi di destinazione e ci espone al pericolo di chiusura dei mercati extra Ue. Questo comporterebbe, secondo Assica, mancate esportazioni per la filiera suinicola pari a 250 milioni.
«Manca, poi – ha aggiunto Ferrarini – una strategia di lungo periodo che assicuri che gli accordi raggiunti in ambito comunitario o nazionale si concretizzino in aperture effettive per tutte le aziende e per tutti i prodotti. Troppo spesso, assistiamo, infatti, all’imposizione, da parte dei Paesi terzi, di vincoli burocratici che di fatto svuotano gli accordi di apertura dei mercati, rendendo impossibile o economicamente insostenibili le esportazioni». Il caso recente è quello degli Stati Uniti che, dopo alcuni casi di listeria, da settembre sottopongono, in dogana, tutti i salumi italiani a breve stagionatura a controlli sanitari.
«Allentare i vincoli imposti da Pechino»
Quanto vale la Cina? Circa 80 milioni di euro, almeno un terzo delle mancate esportazioni di carne made in Italy: da sola, la Cina potrebbe infatti garantire il 30% di esportazioni aggiuntive tra carni, frattaglie e salumi.
Luisa Ferrarini ha appena finito di mettere in chiaro le ragioni dell’Italia nel suo intervento al Business Forum Italia Cina nella Great Hall of People che le tocca di ripetere, qualche giorno dopo, gli stessi concetti alla platea dei colleghi, tutti ugualmente penalizzati dalle barriere cinesi.
«Occorre una forte volontà politica da parte delle autorità italiane per chiudere la trattativa in corso con Pechino – ribadisce Ferrarini nella veste di presidente di Assica – il superamento delle barriere deve diventare la vera ossessione per tutta l’azione del governo. Deve diventare priorità delle agende non solo dei ministri direttamente coinvolti con il nostro settore, ma di tutti gli esponenti chiave del governo, dal presidente del Consiglio al ministro degli Esteri, dal ministro della Difesa a quello della Cultura».
Per Ferrarini, che è vice presidente di Confindustria con delega per l’Europa – altro terreno cruciale di dialogo commerciale con la Cina – «bisogna sfruttare appieno i prossimi 18 mesi, quando tra semestre di Presidenza europea ed Expo 2015 l’Italia avrà l’occasione unica di gestire una parte importante dell’agenda delle relazioni comunitarie e internazionali soprattutto nell’agroalimentare». Anche l’elezione, a Pechino, di un italiano, Luigi Scordamaglia, ai vertici dell’Associazione mondiale di categoria è una carta in più.
In Cina, di fatto, possono essere esportati solo prosciutti crudi stagionati almeno 313 giorni. Sono autorizzati 32 prosciuttifici, ma l’Italia chiede da tempo, invano, di aprire ai prodotti cotti. Le ispezioni richieste dai cinesi diventano un calvario. Mancano all’appello i salumi a breve stagionatura (salami, coppe, pancette) e soprattutto la carne fresca e i sottoprodotti, di cui la Cina è famelica (nel 2013 ne ha importati dall’Ue per 840 milioni di euro). La carne bovina è addirittura tabù.
Il ministero della Salute dal 2007 ha invitato le autorità cinesi a una nuova visita ispettiva in Italia per esportare carni fresche e prodotti a stagionatura inferiore ai 313 giorni nonché per il riconoscimento di altri impianti di macellazione (sia come fornitori di materia prima che come esportatori diretti) e di altri prosciuttifici. Il dossier è al vaglio dal 2011, ma non c’è riscontro. A novembre il ministero della Salute è stato con Assica a Pechino, ha incontrato i vertici di Cnca, Cfda e Aqsiq che, per l’ok ad altri stabilimenti italiani, hanno chiesto la compilazione di un formulario manifestando la disponibilità a ispezionare entro l’anno gli impianti in Italia. Mentre il ministero raccoglie i formulari compilati, il tempo continua a correre.
Il Sole 24 Ore – 17 giugno 2014