A quanto pare già da lunedì sarà introdotto il metodo contributivo col criterio del pro rata, ovvero per gli anni a venire dal 2012 in poi, per tutti i lavoratori italiani.
Tutti coloro che nel 1996 avevano già almeno 18 anni di carriera alle spalle, e dunque non sono stati toccati dalla riforma Dini, avrebbero la propria futura pensione calcolata con il retributivo relativamente ai versamenti fatti fino a fine anno, e con il contributivo (generalmente meno vantaggioso) per il residuo spezzone di carriera. Questa misura però, proprio per la sua natura graduale, non assicurerebbe benefici finanziari immediati allo Stato. Si tratta di una norma che renderà comunque più equo il sistema, anche se gli effetti economici saranno importanti, ma condizionati comunque dall’essere una misura tardiva, per troppo tempo ostacolata, mentre avrebbe potuto dare, se attuata a tempo debito, dei risparmi significativi. I sistemi pensionistici sono sotto osservazione ovunque, è inutile negarlo.
E i governi conferiscono credibilità alle loro manovre economico finanziarie se trovano il coraggio e la forza politica di intervenire aggredendo i nodi ancora irrisolti che, da noi, riguardano soprattutto la disciplina del trattamento di anzianità, che consente a chi ha iniziato molto presto a lavorare, e ha almeno 40 anni di contributi versati, di andare in pensione a 58-59 anni. Rimanendo così a carico del sistema per ancora lunghissimo tempo. Per risolvere il problema, che pesa non poco sulle casse previdenziali, si torna quindi a ragionare su tutti i possibili disincentivi per scoraggiare le uscite anticipate, come quella di elevare i 40 anni a 42-43, oppure farli accompagnare da un’età anagrafica minima di 60 anni.
Se si volesse agire con una determinazione temperata dalla cautela, si potrebbe consentire, in via transitoria, che di questa possibilità continuino a fruire solo gli operai (e chi non lavora, cassaintegrati e mobilitati), riconducendo le altre categorie all’interno delle regole ordinarie dell’età minima e delle quote. L’importante è decidere cosa fare, il più presto possibile. I lavoratori chiedono innanzitutto certezze sul proprio futuro.
Domenico Comegna – Corriere della Sera – 2 dicembre 2011