La ministra Nahles: «Segnale di solidarietà tra le generazioni». Nonostante le critiche e le preoccupazioni per la spesa nei prossimi anni e a due mesi dal via libera al disegno di legge sul salario minimo a 8,5 euro l’ora, la riforma che abbassa l’età pensionabile a 63 anni per chi ha accumulato 45 anni di contributi è arrivata. Ieri in Germania, il Bundestag ha approvato (460 sì , 64 no, 60 astenuti) la più costosa riforma dalla grande coalizione guidata da Angela Merkel. Ogni anno peserà sui bilanci pubblici per una cifra tra 9 e 11 miliardi di euro, 160 fino al 2030.
Circa 10 milioni di tedeschi dal primo luglio potranno, in futuro, accorciare gli anni di lavoro che una precedente riforma sta portando, per tutti gli altri, progressivamente da 65 a 67. In realtà la norma dei 63 anni senza riduzioni della pensione vale solo per i nati nel 1951 e 1952. Per i nati dal 1953 si potrà andare in pensione a 63 anni e due mesi, con due mesi in più per ogni anno. Dalla classe 1964 l’età pensionabile, senza riduzioni, è 65 anni con 45 di contributi.
La riforma non abbassa solo l’età pensionabile, come voluto dalla Spd: l’Unione di Cdu/Csu ha infilato alcune costose rivendicazioni. Migliora, il trattamento pensionistico per le madri che hanno sospeso il lavoro per maternità prima del 1992 (27 euro al mese). Più soldi anche per prestazioni riabilitative e le pensioni per inabili al lavoro. Le pensioni alle madri sono la parte più costosa del pacchetto, e peseranno ogni anno 6,5 miliardi.
Secondo Andrea Nahles, ministra del Lavoro, socialdemocratica, la riforma è un segnale «della viva solidarietà» tra generazioni e tra ricchi e poveri. Alcuni no sono arrivati dalle file dell’Unione di Cdu/Csu, che in passato aveva già espresso perplessità sul costo. Per le opposizioni, il partito dei Verdi e la sinistra radicale della Linke, si tratta di una legge sbilanciata e ingiusta.
«Qualcosa migliora, ma molto resta sbagliato com’è», ha attaccato l’esperto di pensioni della Linke, Matthias W. Birkwald. A sinistra non piace l’esclusione, dal computo dei 45 anni, dei periodi di disoccupazione prolungata. Né le limitazioni che la grande coalizione ha studiato per evitare che i datori di lavoro approfittino della riforma per mandare, i dipendenti in pensione a 63 anni appoggiandosi ai sussidi di disoccupazione.
La legge è una vittoria della Spd, nonostante l’Unione porti a casa più soldi per le madri. Ma il risultato potrebbe ritorcersi contro i socialdemocratici, viste le critiche di parte della Cdu/Csu e del mondo dell’economia e dei datori di lavoro, secondo cui il sistema «è un errore caro, che graverà soprattutto sulle nuove generazioni con un’ipoteca miliardaria».
Anche l’Ocse, in un recente rapporto, aveva criticato la legge, che nel medio periodo dovrà essere finanziata con un’aumento dei contributi pensionistici a danno del mercato del lavoro. Sarebbe stato più sensato, avevano scritto gli esperti, finanziarla con la fiscalità generale.
Ansa – 24 maggio 2014