La Lega è pronta a mettere il suo veto sul pacchetto pensioni. Fino a minacciare una crisi di governo, quando stasera il Consiglio dei ministri dovrà varare il Documento programmatico di bilancio da spedire a Bruxelles, in pratica la sintesi della manovra. Il proposito del ministro Luigi Di Maio, anticipato ieri da Repubblica, di voler tagliare per decreto le pensioni d’oro così da ricavarne 1 miliardo — sette volte il gettito di 150 milioni stimato dal presidente Inps Tito Boeri in audizione alla Camera — sta terremotando il quadro politico.
I tecnici leghisti calcolano che per un incasso del genere la scure cadrà sugli assegni « anche sotto i 3 mila euro netti mensili » . E che in alternativa, a voler tenere la soglia sui 4.500 euro, bisognerebbe cambiare la struttura dell’intervento. Non più basato sull’età di pensionamento — metodo spacciato per ricalcolo contributivo — ma un taglio secco e permanente per tutti, pari almeno al 20%. Ipotesi che Di Maio sembra negare quando dice, in diretta a Domenica Live su Canale5: « Tagliamo non a chi prende una pensione alta e se l’è meritata, ma solo a quelli che non hanno versato i contributi per avere 10 mila euro al mese». Per il vicepremier questo significa «che si stanno fregando la pensione di qualcun altro che prende 600-700 euro al mese».
Una bugia, dice la Lega. Il progetto di legge 1071 depositato alla Camera il 6 agosto scorso e che oggi Di Maio vuole incorporare nel decreto legge fiscale (firmato però anche dal capogruppo leghista Riccardo Molinari oltre che da quello pentastellato Francesco D’Uva) predispone tutt’altro. E crea disparità rispetto al taglio, proprio perché si basa solo sull’età di uscita e non sui contributi versati durante la vita lavorativa. Chi è andato in pensione a 60 anni con 40 di contributi viene punito, anche se le leggi dell’epoca glielo consentivano. Chi a 65 con 20 anni di versamenti no. Militari, professori universitari, magistrati rimasti al loro posto sino ai 70 anni non sono toccati. In alternativa, il M5S pensa anche al blocco della rivalutazione all’inflazione per questi assegni alti che termina il 31 dicembre.
Ma c’è dell’altro: la ricaduta territoriale delle risorse messe in campo dalla manovra. Vero nodo del contendere. « Se il pacchetto rimane com’è tra pensioni d’oro e di cittadinanza — ragiona un politico leghista di primo piano — assisteremo al più grande spostamento di risorse della storia d’Italia verso il Sud » . Il malcontento sarebbe nei numeri: « Il 70- 75% dei pensionati d’oro vive al Centro- Nord, così come altrettanti beneficiari della pensione di cittadinanza si trova a Sud». Una situazione politicamente scomoda per la Lega a trazione settentrionale. Non è un caso che in tv ieri Di Maio abbia provato a calmare i bollori specificando che « il 47% del Reddito di cittadinanza andrà al Centro- Nord » . Troppo poco, per la Lega che giudica la misura assistenzialismo caricato sulle spalle del Nord produttivo.
La tensione è alle stelle. Sulle pensioni il governo del cambiamento si gioca un buon pezzo di consenso elettorale. Ecco perché il dossier è ancora aperto. Anche “ quota 100”, ad esempio, è tornata in discussione. Ieri Di Maio l’ha spiegata così: «Ogni qual volta la somma tra età e contributi fa 100 puoi andare in pensione » . Le ultime simulazioni dicono tutt’altro. Quota 100 sarebbe garantita solo a 62 anni con 38 di contributi. Poi il requisito dei 38 rimarrebbe fisso al crescere dell’età. Così da avere da quota 101 sino a 104. Sul rinnovo dell’Ape sociale ( per un anno) e Opzione donna ( fino al 2021) c’è ancora maretta, per i costi non irrisori. Mentre sullo sfondo si agita “quota 41” — pensionamento a prescindere dall’età, ma con 41 anni di contributi — inclusa nel contratto di governo e mai tramontata del tutto. Il leader della Lega ci spera. E quello dei Cinque Stelle vuole togliergli la scena, annunciando l’intenzione di ricevere al ministero del Lavoro un gruppo di “ quarantunisti”. Questa settimana. La settimana della manovra del popolo.
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