Carlo Cambi. Aggiungi un posto a tavola: per la mafia. O se preferisci vai a cena dalla camorra. Il business agroalimentare ha scatenato l’appetito della criminalità organizzata: usura, commercio anche on line di prodotti contraffatti, ristorazione sono i settori «privilegiati». A dimostrarli ci sono centinaia d’inchieste a evidenziarlo pensa il terzo rapporto sulle «Agromafie» elaborato da Coldiretti, Eurispes, e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Il rapporto
Nell’agroalimentare il fatturato «mafioso» è stimato in 15,4 miliardi con una crescita del 10% in un anno. Stando al rapporto sarebbero in mano alla criminalità organizzata – soprattutto ’ndrangheta e camorra – almeno 5 mila ristoranti. L’interesse per questo tipo di attività è motivato dal fatto che consente di «lavare» velocemente denaro sporco, che assicura sbocchi alle produzioni agricole in mano alla criminalità ed è per i mafiosi la porta d’ingresso nella società pulita. In linea con quanto hanno rivelato le inchieste su «Mafia Capitale» la criminalità organizzata ha sempre più interesse a entrare in contatto con «il mondo di sopra» per allargare i propri affari. Per farlo ora si dedica – soprattutto nell’agroalimentare – al money dirtying attraverso il quale almeno un miliardo e mezzo di euro transita sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale al ritmo di 4 milioni di euro al giorno. Il fenomeno si è acuito per la mancanza di credito alle imprese e perché le bancari non consentono alle imprese di gestire profittevolmente la cassa. Così la criminalità organizzata ha messo in piedi una sorta di sistema bancario parallelo che sfocia o nell’usura o che trasforma l’imprenditore che ha cercato o accettato il contatto e ha affidato ad organizzazioni illegali i propri capitali da finanziatore a socio in affari dei mafiosi e dunque complice. Del resto le mafie hanno bisogno di canali puliti attraverso i quali far transitare le merci contraffatte che restano il core business criminale nell’agroalimentare.
Stando alle rilevazioni Coldiretti-Euripses il falso made in Italy commercializzato dalle agroamfie è pari a 60 miliardi di fatturato, in crescita sia per la crisi dei consumi sia per il richiamo di Expo 2015. Coldiretti lo dice: «Finora delle infiltrazioni criminali in Expo si è parlato solo in termini di appalti, tangenti, ma il nostro Paese è sotto tiro da parte di organizzazioni criminali nazionali e transnazionali in grado di movimentare in breve ingenti risorse finanziarie derivanti anche da traffici illeciti planetari di alimenti».
I casi sono centinaia: i limoni sudamericani commercializzati come limoni della penisola sorrentina; gli agrumi nordafricani che si trasformano in agrumi siciliani e calabresi; cagliate del Nord Europa per produrre falsa mozzarella di bufala; grano proveniente dal Canada che entra attraverso i porti pugliesi e diventa puro grano della Murgia per fare il pane di Altamura. Ma i due business criminali più forti sono l’olio (anche vista la carenza di prodotto italiano quest’anno) e il pomodoro con un’invasione di quello cinese. Un altro fronte che si è aperto è quello dell’e- commerce. Per Coldiretti in rete si trova una galleria degli orrori del cibo tarocco: la Daniele mortadella prodotta negli Usa dove si vende addirittura il kit per preparare il Parmigiano, il Chianti bianco svedese o il vino in polvere per ottenere in poche settimane il Barolo confezionato in Canada. In Italia il commercio on line di agroalimentare è pari all’incirca a 1,5 miliardi di euro e – stando a Coldiretti – sarebbe il canale preferito dei falsari che spacciano prodotti tipici della tradizione locale e regionale (32%), i prodotti Dop e Igp (16%) ed i semilavorati (insaccati, sughi, conserve,12%).
Del pari la criminalità organizzata ha approfittato dei magrissimi raccolti di alcuni dei prodotti simbolo del made in Italy – sugli scaffali dei supermercati ci sarà il 35% in meno di extravergine italiano, il 25% in meno agrumi, mancherà il 15% di vino e metà del miele – per incrementare la penetrazione con prodotti falsi, ma anche per mettere nel mirino le aziende agricole con saccheggi di olive nei campi e forme di accaparramento e di commercio clandestino dell’olio e degli altri prodotti.
Libero – 16 gennaio 2015