Una manovra per il 2016 da almeno 25 miliardi di euro. Che servirà in parte per disinnescare l’aumento dell’Iva e delle accise previsto dalle clausole di salvaguardia e dall’altro a lanciare il nuovo taglio delle tasse da circa 35 miliardi per i prossimi tre anni. Si comincerà, nel 2016, con circa 5 miliardi attraverso l’abolizione della Tasi sulla prima casa, dell’Imu agricola e di quella sui macchinari industriali imbullonati al suolo.
Ci sono poi alcune voci più o meno obbligate da soddisfare: dal rinnovo dei contratti pubblici al trascinamento dell’indicizzazione sulle pensioni, entrambe conseguenti a sentenze della Corte Costituzionale; dalla prosecuzione, sia pure in forma limitata, degli sgravi sulle assunzioni al finanziamento delle missioni militari alle misure promesse dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per dare una prima risposta all’emergenza povertà e alla richiesta di flessibilità sull’età pensionabile. Questo il menù della legge di Stabilità per il 2016 che il governo presenterà entro il 15 ottobre.
Il ricorso al deficit
Sul fronte delle coperture necessarie a finanziare tutte queste misure, per ora c’è solo una nuova puntata della spending review che, nel 2016, dovrebbe ridurre di 10 miliardi la spesa pubblica. Per il resto il governo si affida a una serie di voci incerte: dalla maggiore crescita del Prodotto interno lordo, in seguito allo stesso piano triennale di taglio delle tasse, dal quale dovrebbero derivare maggiori entrate, oltre che un miglioramento dei saldi di finanza pubblica (deficit/Pil e debito/Pil), a nuovi margini di flessibilità che Bruxelles dovrebbe concederci, in particolare sulle spese per investimenti, a una spesa per interessi sul debito che potrebbe essere inferiore al previsto.
Per il resto, cioè per le coperture che mancano, e si parla di svariati miliardi, si dovrebbe ricorrere a un aumento del deficit di alcuni decimali di punto in rapporto al Pil (ogni decimale vale 1,6 miliardi), il che consentirebbe comunque all’Italia di restare sotto il tetto del 3 per cento previsto dalle regole europee. Soltanto che anche questo punto, ovvero il finanziamento di parte della manovra in deficit, che inevitabilmente sarebbe accompagnato da un nuovo rinvio del pareggio strutturale di bilancio al 2018, deve essere trattato e autorizzato da Bruxelles.
La spending review
È la voce principale per dare credibilità alla manovra. Da essa infatti dipende la cancellazione di buona parte delle clausole di salvaguardia su Iva e accise, eredità delle precedenti due leggi di Stabilità. Per evitare gli aumenti previsti sono in cantiere risparmi di spesa nel 2016 per 10 miliardi (gli altri sei miliardi e mezzo necessari verranno dai margini di flessibilità già concessi da Bruxelles lo scorso maggio). I tagli maggiori riguarderanno la spesa per l’acquisto di beni e servizi, riducendo a una trentina le stazioni appaltanti e ampliando il raggio d’azione della Consip (società del ministero dell’Economia per gli acquisti), dai ministeri e dagli enti locali, dove sono attesi anche i primi effetti della riforma della pubblica amministrazione che prevede la razionalizzazione delle società partecipate. Ma ci sarà anche una revisione delle tax expenditure, cioè le deduzioni, detrazioni ed esenzioni fiscali che non sempre sono legate a reali esigenze della famiglia o della produzione.
I nodi da sciogliere
Il principale riguarda la decontribuzione sugli assunti a tempo indeterminato. Il governo ha concesso questa misura per tre anni, con uno sconto massimo di 8.060 euro all’anno per ogni assunto sui contratti stipulati nel 2015. Confindustria chiede di rendere permanente questo sgravio. Ma ci vorrebbero 5 miliardi l’anno. Sono quindi allo studio agevolazioni limitate: o al Sud o alle imprese con determinati requisiti (assunzioni aggiuntive, settori innovativi) o a determinate categorie (donne, disoccupati di lunga durata). C’è anche un’ipotesi alternativa, come riferiva il Foglio di sabato: un taglio secco di sei punti dei contributi su tutti i lavoratori dipendenti, tre punti a carico dell’azienda e tre del lavoratore il quale però potrebbe scegliere tra avere un netto più alto in busta paga (pagandoci però le tasse) oppure dirottare la somma esentasse in un fondo pensione per compensare in parte la riduzione del trattamento Inps conseguente al taglio della contribuzione.
Sempre in materia Inps, va sciolto il nodo dell’età pensionabile. L’ipotesi meno costosa è quella che prevede di poter andare in pensione con qualche anno d’anticipo ma chiedendo un prestito sul proprio trattamento futuro, da restituire poi a rate. Infine, sulla povertà, potrebbe partire il Ria, reddito di inclusione attiva.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 17 agosto 2015