La manovra adesso è sotto i “ferri” della Ragioneria generale, chiusa e in qualche modo impacchettata ieri pomeriggio dal ministero dell’Economia dopo l’ennesimo, estenuante vertice. Giovanni Tria da una parte, i mastini di 5stelle e Lega a darsi battaglia su pensioni d’oro e cabina di regia sugli investimenti. Volano gli ultimi stracci. Tanto che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è costretto a rinviare di un giorno la missione di Stato a Nuova Delhi.
Il fatto è che al mosaico finanziario del 2019 – che solo domani sarà inviato alle Camere – mancano svariate tessere. Non è chiaro ancora quando entreranno realmente in vigore i due provvedimenti bandiera del reddito di cittadinanza e della quota cento per le pensioni. Potrebbero partire anche a metà anno, nessuno ormai lo nega nei ministeri grillo-leghisti. I risparmi però maturerebbero in corso d’opera. E quindi non servirebbero a ridurre il deficit, cristallizzato nel documento al 2,4 per cento. Proprio sul numero della discordia il capo del Movimento Luigi Di Maio e il leader leghista Matteo Salvini (partito ieri per il Qatar) non transigono. Il responsabile del Tesoro Tria non la pensa come loro. È convinto che ci siano ancora dei margini per poter ritoccare al ribasso la percentuale che ha isolato il governo gialloverde in Europa. Molto dipenderà dall’andamento dei mercati e dalla pressione dello spread nei prossimi giorni. Oggi la borsa di Milano ha lasciato rifiatare, guadagnando l’ 1,92%, lo spread è sceso sotto quota 300 ( fermandosi a 296), mentre i titoli bancari sono cresciuti dal 4 al 7 per cento. Numeri che – dopo il rating di S& P di venerdì – hanno risollevato l’umore in via XX Settembre, dove col ministro erano riuniti i vice Laura Castelli ( M5S) e Massimo Garavaglia ( Lega), con lo staff dei tecnici. È anche vero però, si sono detti, che il differenziale con i titoli tedeschi non può restare a lungo a cavallo di quota 300. È la ragione per cui Tria pianifica le contromisure.
La prima è quella che potrebbe portarlo a incontrare il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker a margine dell’Eurogruppo del 5 novembre per tentare un’ultima mediazione. Un vertice fuori programma al quale andrebbe anche il premier Conte se il governo gialloverde dovesse decidere di rivedere i numeri della manovra, assecondando almeno in parte i desiderata di Bruxelles. Non è un mistero che Tria lavori per abbassare il deficit almeno di uno 0,2 per cento, provando così a ridurre la distanza dall’1,9-2% che è la soglia di inedebitamento potenzialmente tollerabile dalla Commissione. Palazzo Chigi fino a ieri sera negava una svolta del genere e la ragione sta tutta nella resistenza a oltranza dei due “azionisti” di maggioranza. Bisognerà fare però i conti con la speculazione, che a lungo andare rischia di far vacillare le banche. « Non ci sarà bisogno di intervenire, ma se l’emergenza ci costringesse, il piano di intervento c’è: solo che non lo ufficializzeremo mai anzitempo » , racconta un esponente di governo. Contromisure che passerebbero dal rafforzamento del fondo interbancario (da 15 miliardi) all’aggregazione di istituti in difficoltà.
Ora la priorità, come ha ripetuto Tria nel lungo vertice di ieri al ministero, è consolidare almeno la crescita all’ 1,5 per cento. Impossibile, è la sua tesi, se non si farà partire subito la cabina di regia sugli investimenti che il Tesoro vuole gestire. Ma anche qui si è scontrato col muro issato dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, che ha battuto i pugni sul tavolo rivendicandone il timone. Il premier Conte si è impegnato a trovare una mediazione ma intanto, alle 23, è partito per l’India. Lasciando sul tappeto anche il macigno delle pensioni d’oro. Il taglio è contenuto nel decreto fiscale, ma se è assodato che non si colpiranno quelle al di sotto dei 4.500 euro al mese, Lega e M5S continuano a darsi battagli su tutto il resto. Per Salvini e i suoi non andranno toccate quelle maturate con il sistema contributivo e su questo non transigono. Per i grillini la ghigliottina dovrà scendere su tutti gli assegni. L’ultimo braccio di ferro di giornata si consuma sulle nomine, dalla Rai all’Antitrust, ancora in alto mare. Alla Consob invece il Carroccio vuole piazzare il bocconiano Alberto Dell’Acqua, a scapito dei 5 stelle che sponsorizzano Marcello Minenna, l’ex assessore della sindaca Raggi.
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