Paolo Baroni. Un quadro organico a due mesi dal varo effettivo della nuova legge di bilancio ovviamente non c’è, anche perché ancora non si conosce la cornice generale, visto che non sappiamo quale potrà essere la crescita effettiva dell’Italia quest’anno (+0,7 o +0,9%?) e di conseguenza pure quella dell’anno venturo.
Il treno della manovra 2017, insomma, è ancora tutto in formazione ed ogni giorno si aggiunge un vagone. Lievita pertanto anche l’entità dell’intervento che dai 20-25 miliardi ipotizzati nelle scorse settimane, secondo stime dell’agenzia Ansa, potrebbe toccare anche quota 30. Cifra che rende ancor più urgente aprire un confronto con Bruxelles per cercare nuovi margini di flessibilità sul deficit.
Fondi pubblici e privati
Di certo, a fronte di un Pil che stenta il governo punterà molto sugli investimenti, dopo che a questa voce ha già destinato circa 20 miliardi di euro in occasione dell’ultimo Cipe, 40 coi fondi per il Sud. Ieri il ministro Delrio ha confermato di aver raggiunto un’intesa «politica» col presidente del Consiglio ed il ministro dell’Economia per fare in modo che la carenza di fondi non si trasformi in un impedimento per realizzare nuove opere pubbliche. «È un patto fatto col presidente Renzi, il ministro Padoan e la Ragioneria dello Stato – ha spiegato il responsabile delle Infrastrutture – per dire che, ogni volta che c’è un investimento che può essere concreto e realizzabile, non saranno certamente i limiti di cassa a bloccare questo investimento». In pratica verrà creata una vera e propria corsia preferenziale per investimenti immediatamente cantierabili: lo strumento che verrà impiegato sarà il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) che ha una dotazione di circa 15 miliardi. L’idea è quella di alzare i limiti di spendibilità di questo fondo per irrobustire le disponibilità di cassa. La strategia del governo, come ha sostenuto ieri Delrio a margine di una conferenza stampa di Ryanair, prevede infatti di «proseguire con gli investimenti pubblici ed attrarre sempre più investimenti privati: questi due piedi tengono in piedi un tavolo che speriamo si irrobustisca sempre di più». Anche per questo definisce «una cosa molto importante» l’intesa raggiunta con Renzi e Padoan perché supera il blocco delle autorizzazioni degli anni scorsi.
Soldi a pensioni o alla Pa?
Arrivati al dunque, anche a fronte dei 10 miliardi di maggior deficit che il governo conta di ottenere dalla Ue, inevitabilmente andranno fatte delle scelte. Magari dolorose. Ieri su La Stampa il viceministro all’Economia Enrico Zanetti ha messo in ordine le priorità: prima le misure che aiutano il Paese a crescere, come il blocco degli aumenti Iva ed il taglio dell’Ires, poi gli interventi per chi è senza pensione e senza lavoro e gli aumenti degli statali, in coda gli aumenti ai pensionati. Facendo intendere che una parte delle risorse che servono a rinnovare i contratti della Pa (i sindacati chiedono «almeno» 7 miliardi di euro in 3 anni) potrebbero essere pescate da quel miliardo e mezzo che sino ieri era assegnato al pacchetto previdenza e che a questo punto verrebbe inevitabilmente diviso in due parti. Prima il varo dell’anticipo pensionistico (l’Ape) e le agevolazioni sui ricongiungimenti e poi, più avanti, il resto. Ipotesi che però non piace al viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini, secondo cui «anche le pensioni minime sono una priorità», né al presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, che mette in guarda l’esecutivo dal pericolo che si inneschi «una guerra per le risorse ed un conflitto politico e sociale dagli esiti imprevedibili».
La Stampa – 18 agosto 2016