Controllare l’influenza aviaria, sia a livello locale che mondiale, diventa una sfida sempre più complessa, dato che il virus continua ad essere sempre un passo in avanti rispetto alle conoscenze scientifiche. Certamente gli uccelli selvatici svolgono un ruolo fondamentale nella trasmissione della malattia, ma non sono gli unici.
“Nonostante gli ingenti investimenti, ci sono ancora lacune importanti nella nostra conoscenza. Abbiamo infezioni endemiche in sei aree: Cina, Vietnam, Indonesia, parti dell’India, Bangladesh ed Egitto. In questi paesi è sempre più difficile seguire e controllare efficacemente la diffusione dell’infezione” ha spiegato il Professor Ian Brown, virologo capo presso l’Agenzia per la salute degli animali e delle piante (APHA) in occasione della Conferenza della Global Alliance for Research on Avian Diseases.
Anche nei paesi dove sono stati fatti enormi sforzi per contenere l’aviaria, spesso la malattia si ripresenta. Una delle maggiori difficoltà nel contenerla è che spesso è difficile da rilevare.
E secondo il capo veterinario inglese Nigel Gibbens i governi che pongono divieti nei confronti di interi paesi in cui viene individuata l’aviaria ad alta patogeniticà, senza applicare la regionalizzazione, stanno creando un disservizio, “Non dobbiamo compromettere le rotte commerciali. Si tratta di una reazione eccessiva.
Quanto accade a causa dalle barriere commerciali innesca un circolo vizioso e dannoso. Di fatto, a causa dell’aviaria, si interrompe un canale commerciale con un partner sicuro, aprendone uno con un nuovo partner commerciale, che però potrebbe comportare tutta una nuova serie di problematiche anche di carattere sanitario”.
Da quanto nel 2014 è comparso in Cina il cosiddetto ceppo dell’aviaria ad alta patogenicità Guandong, ci sono state diverse ondate di infezione, aggravate dal vasto commercio di pollame vivo tipico del paese, e dal fatto che l’infezione si può replicare nelle anatre ruspanti, senza alcun sintomo.
“Nel tempo l’evoluzione e il cambiamento dell’epidemiologia del virus H5, ha anche reso molto difficile selezionare e utilizzare i vaccini giusti. Nella metà e la fine degli anni 1990 ci sono state scarse variazioni, ma nel tempo si osserva una maggiore diversità genetica. Questo perché c’è stata una diffusione a livello mondiale, il virus si è stabilizzato negli ecosistemi e si è evoluto in maniera indipendente. L’epidemiologia è diventata più complicata a causa della capacità del virus di acquisire facilmente geni da altri ceppi”.
Gli uccelli selvatici hanno certamente svolto un ruolo come fonte primaria della malattia. “Ma a volte questo modifica troppo la prospettiva e gli stessi uccelli vengono ritenuti gli unici responsabili della diffusione di un focolaio anche se non vi è alcuna prova epidemiologica a sostegno”. A livello locale, invece, la diffusione è spesso legata a fattori come il movimento degli uccelli vivi, i movimenti commerciali e dai veicoli contaminati.
Fonte Farmers Weekly (da Unaitalia) – 6 giugno 2015