E’ scoppiata una polemica sull’applicazione del «decalogo» deliberato nell’agosto 2014 dalla Regione per indicare ai medici di Pronto soccorso in quali casi i pazienti non gravi (cioè non inquadrati come codici gialli o rossi) non pagano. Se non rientrano nelle fattispecie descritte devono essere dimessi con codice bianco (quadro stabile e sofferenza lieve, come nel caso di febbre o tagli superficiali), anche se magari all’arrivo l’infermiere del Triage li aveva classificati col verde (quadro stabile ma con sofferenza, per esempio per una frattura alla mano), che non richiede i 25 euro di ticket di ingresso.
Se diverse Usl si sono subito adeguate alle nuove disposizioni, tante altre le hanno ignorate, inducendo Palazzo Balbi a compiere una verifica amministrativa. «E’ emerso che i Pronto soccorso ligi alla direttiva hanno un 40% di codici bianchi in dimissione paganti, mentre gli altri arrivano al massimo al 20% — spiega il dottor Paolo Rosi, a capo del Coordinamento regionale emergenza-urgenza —. Non è giusto che una stessa prestazione venga pagata in un ospedale e non in altri, perciò per garantire l’equità delle cure sull’intero territorio abbiamo esortato le Usl rimaste indietro ad uniformarsi alle altre».
E qui è esploso il problema. Per essere sicura che i camici bianchi rispettino il decalogo, ad agosto l’Azienda ospedaliera di Verona ha imposto un software recettivo dei parametri regionali, così una volta inserita la diagnosi finale non è possibile modificare la «maschera» e relativo bollettino di pagamento. «In un mese i paganti sono lievitati dal 10% ad oltre il 60% — denuncia Flavio Magarini, presidente regionale di Cittadinanzattiva-Tribunale del Malato — altro che uniformità di cure e sistema pubblico gratuito, qui si vuole solo fare cassa, togliendo al medico la propria discrezionalità. E’ suo dovere e diritto tracciare la diagnosi, anche per evitare mostruosità come i 220 euro pagati da una poveretta con colica renale per 48 ore visitata da vari specialisti o i 100 sborsati da un 80enne per una polmonite». In realtà non esiste un software regionale, spiegano Rosi e i primari dei Pronto soccorso, ogni Usl rispetta il decalogo nelle forme che ritiene. Per esempio a Vicenza si è iniziato ad applicarlo a settembre, passando dal 9% dei codici bianchi paganti al 30%. «E’ una questione amministrativa, non diagnostica — insiste Rosi — infatti è in preparazione un’altra delibera, finalizzata a stabilire criteri, sempre uguali per tutti, per identificare i quattro codici».
«Presenteremo un esposto in Procura, perché questa vicenda non ha solo una rilevanza sanitaria ma anche penale — tuona Flavio Tosi, sindaco di Verona —. E’ un’estorsione incostituzionale e configura un modo fraudolento con cui la Regione opera una vera manovra finanziaria sulla pelle dei veneti». «Quanto previsto dalla delibera è stato definito da una commissione composta dai primari dei Pronto Soccorso e nell’esenzione abbiamo inserito ogni esito, anche minimo, da violenza domestica — replica Luca Coletto, assessore alla Sanità —. Inoltre in Veneto esiste una marea di esenti ticket per reddito o per patologia, che non pagano un euro nemmeno di codice bianco».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 6 ottobre 2015