Era il 2010 quando Galan e Cacciari, rispettivamente governatore della Regione del Veneto e sindaco di Venezia, si ritrovarono a inaugurare insieme i lavori del nuovo padiglione Jona dell’ospedale civile di Venezia.
Galan, parlando del project financing, la procedura che permette alle amministrazioni pubbliche di coinvolgere i privati nel finanziamento di opere per la collettività, utilizzata per la costruzione fino ad allora dell’ospedale dell’Angelo di Mestre, per quelli di Castelfranco e Montebelluna, per il nuovo polo ospedaliero Santorso, per il passante di Mestre e altre opere viarie, e proprio in quei giorni per il rifacimento del padiglione Jona a Venezia, disse che “l’alternativa non è fare un ospedale con i soldi pubblici o farlo con i soldi dei privati. Perché la prima possibilità non è data. Se non ci fossero stati i capitali privati, a Mestre non ci sarebbe un nuovo ospedale. E lo stesso vale per il nuovo ospedale di Padova”.
Una dichiarazione che in altre occasioni sottoscrisse anche Cacciari, che più volte dichiarò che senza capitali privati in Italia non è possibile fare opere pubbliche. A Venezia ad esempio è ancora in corso il restauro della Scuola Grande della Misericordia, mitica sede della gloriosa pallacanestro Reyer Venezia. Un restauro avviato con la modalità project proprio dall’ultima giunta Cacciari nel 2009.
La posta in gioco
Senza il project financing non avremmo il tunnel della Manica, l’alta velocità in Francia, ospedali nella “rossa” Toscana, costruiti in fotocopia, e ancora strade in Spagna e tante altre megastrutture europee. L’unica nazione ad utilizzare per meno del 20 per cento nelle opere pubbliche lo strumento della finanza di progetto (project financing) è la Germania.
Non si creda però che i privati mettano a rischio i loro capitali per senso civico; tutt’altro, lo fanno perché con il canone d’uso o con i pedaggi o con le locazioni di queste strutture, che avranno in monopolio per circa un ventennio, potranno ampiamente recuperare il loro investimento. Di contro, i cittadini possono sperare in una viabilità più fluida o sul fatto di continuare ad avere un’efficiente rete ospedialiera. Grandi speranze nutrono anche gli imprenditori della Pedemontana Veneta aspettando la nuova Spv, i cui cantieri nella zona di Vicenza sono in piena attività: sperano di vedere ridotte anche del 50 per cento le spese per il trasporto dei prodotti fino alla A4, inizio del corridoio 5 verso l’Europa dell’est e dell’ovest. Tanto più che all’orizzonte si profila la nuova Valsugana che porterà a Trento e quindi a Monaco in tempi inferiori di circa il 30 per cento rispetto agli attuali. Tutto questo grazie al project financing.
Terremoto giudiziario
Ma oggi i sorrisi e le speranze si vanno spegnendo. Pesanti vicende giudiziarie hanno investito il motore economico finanziario dei project financing del Veneto: la Mantovani spa. Era lei a pigliare tutto nel Veneto in fatto di project financing: dall’ospedale all’Angelo di Mestre al percorso del tram di Mestre, dagli interventi di difesa della laguna al passante di Mestre, dalla viabilità della base statunitense Dal Molin alle autostrade. Ora il suo presidente, Baita, è sotto inchiesta.
Pesanti limiti
Inoltre i conti reali delle Ulss con project attivi confermano quello che, fin dal dicembre 2010, una relazione della V commissione della Regione Veneto, presieduta da Leonardo Padrin, aveva messo in evidenza. Ovvero che project in sanità hanno pesanti limiti: la durata ventennale impedisce la programmazione sanitaria regionale, non viene offerta all’Ulss la possibilità di riscatto, non viene calcolato il costo dell’iva, infine mettere il canone nei bilanci economici delle ulss crea forti squilibri sui fondi destinati ai livelli essenziali di assistenza. I progetti presi in esame allora erano quelli di Santorso, di Asolo e di Mestre. La commissione evidenziava quello dell’Ulss 8 come maggiormente equilibrato, mentre quello di Mestre per il Sant’Angelo mostrava già allora gravi limiti.
Dunque molta della storia delle infrastrutture del Veneto, una fra le poche regioni in Italia a progettare e costruire opere, è stata riletta dopo gli arresti e dopo le verifiche contabili sui pagamenti mensili certi. Ora tutto è criticato e sembra scattato l’alt a tutti i project.
Ma le aziende attendono
Dal momento però che il pubblico può fare ben pochi investimenti ci si domanda come faremo: la Treviso mare, la Nuova Romea, il Terminal di Fusina, il Traforo delle Torricelle, le tangenziali della Brescia-Padova, l’anello autostradale di Padova, la Nogara mare, la Valdastico Nord, la Valsugana, la Spv. Come faremo il nuovo ospedale di Padova, l’ampliamento del Tribunale di Rovigo, il Parcheggio sotterraneo di Prato della Valle, l’arsenale di Borgo Trento a Verona?
Senza queste opere il Veneto è destinato all’irrilevanza economica, dicono le associazioni di categoria. Il project è uno strumento e come tutti gli strumenti è utilizzato da uomini. In alcuni casi si è rivelato molto utile in altri non ha funzionato perché chi ha predisposto il meccanismo era impreparato oppure, ma lo dirà la magistratura, era in mala fede.
La questione project è cruciale, dalla sua soluzione dipenderà il modello di sviluppo. Da una parte i paladini della “decrescita”, che, a partire dalla Pedemontana veneta, propongono il blocco di tutte le opere pubbliche e ipotizzano una ferrovia che attraversi per ogni dove il Veneto (da finanziare come non si sa), dall’altra chi faticosamente cerca un “rimedio” ai limiti che gli amministratori hanno mostrato nella gestione finanziaria delle opere. Che fare? Gridare e bloccare auspicando che nuovi illuminati soloni, liberatori dalla vecchia classe politica corrotta, trovino la panacea per una Regione che avrà per intanto perso tutte le sue occasioni economiche, oppure imparare ad affrontare i problemi delle opere pubbliche cercando soluzioni e rimedi e non pensando alle proprie convenienze economiche e di partito? Il tempo è poco, aziende, artigiani e disoccupati aspettano risposte.