Daniele Banfi. «Terrore per il super-batterio resistente a tutti gli antibiotici». È così che era stata annunciata, qualche settimana fa, la scoperta di un microrganismo impossibile da debellare. La verità, però, sta nel mezzo: il batterio, pur non rispondendo ad alcuni antibiotici come la colistina, risultava sensibile ai carbapenemi. La novità che ha fatto allarmare gli esperti è semmai il meccanismo con cui si è generata la resistenza, potenzialmente «trasferibile» ad altre specie batteriche. Se ciò avvenisse – evento al momento raro – saremmo davvero di fronte ad una resistenza «straordinaria».
A scatenare le paure è stata una ricerca, pubblicata su «Antimicrobial Agents and Chemotherapy» da un gruppo del Walter Reed National Military Medical Center del Maryland, in cui si descriveva l’identificazione – per la prima volta negli Usa, ma non nel mondo – di un’infezione da Escherichia coli in una paziente resistente alle tradizionali terapie. «In questi casi di infezione da patogeni multiresistenti – spiega Laura Pagani, microbiologa dell’Università di Pavia e consigliere dell’Associazione microbiologi italiani – si saggiano in laboratorio anche antibiotici come la colistina, utilizzata solo in caso di fallimenti precedenti. In questo caso, però, la molecola non ha dimostrato alcun effetto. Presumibilmente si è quindi resa necessaria la somministrazione di antibiotici come i carbapenemi: questi mostravano di essere efficaci sul ceppo e hanno portato alla risoluzione dell’infezione».
Perché allora l’ondata di panico? Proprio per la straordinaria difficoltà nel combattere ceppi di Escherichia coli come questo i ricercatori Usa hanno voluto indagare a fondo: analizzando geneticamente le colture del microrganismo, si è scoperto che la resistenza alla colistina era data dal gene Mcr-1 in un plasmide, un filamento circolare di Dna non incluso nel cromosoma del batterio, ma libero di circolare e di essere trasmesso da microrganismo a microrganismo. «La presenza di Mcr-1 non è una novità assoluta e già all’inizio dell’anno erano stati isolati in Asia, e in Europa, alcuni casi di resistenza attraverso questo meccanismo. Ciò che deve preoccupare – continua la specialista – è la modalità con cui è stata acquisita l’informazione che genera la resistenza. I batteri, infatti, grazie ai plasmidi, possono passarsi informazioni e, dunque, un microrganismo “insegna” a un altro come diventare resistente. Ciò può avvenire anche tra batteri di specie differenti. Il vero problema si verificherebbe se Mcr-1 venisse trasmesso ai microrganismi già resistenti a diverse combinazioni di antibiotici». E qualcosa, probabilmente, sta avvenendo: nei giorni scorsi, a Firenze, è stata isolata un’ulteriore variante del gene Mcr-1 in Klebsiella pneumonie, batterio notoriamente resistente alla classe dei carbapenemi.
Ecco perché non si deve abbassare la guardia nei confronti di un problema – la resistenza – che rischia di trasformarsi in una delle principali cause di morte negli ospedali. Le contromisure sono molte: «Fondamentale – conclude Pagani – è l’appropriatezza terapeutica. Per questo bisogna sviluppare nuovi test che evitino la somministrazione inutile di antibiotici».
La Stampa – 13 luglio 2016