Jenner Meletti. La spiaggia bianca sembra pettinata. Gli aironi si alzano lenti poi vanno a pranzare nell’acqua bassa. «Con questo caldo — racconta Gianni, pescatore solitario — è difficile tirare su qualcosa. I pesci stanno sul fondo delle buche, alla ricerca del fresco». Una distesa di sabbia lunga più di un chilometro e larga 700 metri. Al mare non le trovi più, spiagge così.
Un solo pescatore, una ragazza e un ragazzo che prendono un sole che spacca poi si rifugiano sotto l’ombrellone blu. Unica colonna sonora: le cicale. Manca solo l’acqua, in questo paradiso. Il Po, il grande fiume, è soltanto una striscia azzurra stretta fra la sabbia e l’argine sinistro. Scendendo verso il mare, a poche decine di chilometri, potresti attraversarlo a piedi. A Valle Gaiba di Rovigo e all’Isola Bianca nel ferrarese ci sono soltanto 60 centimetri d’acqua. E la misura è stata presa nel “canale”, nella parte più profonda, dove dovrebbero passare le barche grosse e le navi.
Il Po fa paura con le piene, quando supera o rompe gli argini e allaga i paesi. Ma semina angoscia anche quando è “magro” come in questa estate troppo calda. Senza la sua acqua, le campagne bruciano. Non crescono il mais e l’erba per i bovini, si seccano i vigneti… «In giorni come questi — dice Giuliano Landini di Boretto, capitano della Stradivari, nave che porta turisti sul fiume — comprendi il valore profondo dell’acqua e del fiume. La mia nave è bloccata nel porto di Viadana, ma questo non è il problema più importante. Sabato dovevo andare alla festa del Redentore a Venezia ma ho dovuto lasciare la mia nave in porto. Io ci rimetto soldi ma i contadini rischiano il raccolto di un anno. Se i consorzi di bonifica mettessero in azione tutti gli impianti con le idrovore, il Po sarebbe asciugato in pochi giorni.
Tutti assieme avrebbero infatti una capacità di prelievo di 1.500 metri cubi al secondo, ed il fiume in questi giorni ha una portata di circa 400 metri cubi». Oggi ci sarà una riunione della Cabina di regia dell’autorità di bacino, per chiedere aiuto ai consorzi che comandano nei bacini montani e nei laghi, soprattutto il lago Maggiore e quello di Como. «Chiederemo — racconta Domenico Turazza, direttore della bonifica Emilia centrale — che facciano scendere più acqua nel nostro fiume. Certo, anche loro hanno problemi, perché l’acqua serve per l’energia elettrica e per mantenere un minimo vitale gli affluenti. Nel 2003, quando ci fu la grande secca, dovette intervenire il governo, attraverso la Protezione civile, per obbligare bacini e laghi a rilasciare flussi maggiori. Adesso i rapporti sono migliori, forse basterà la richiesta ben motivata. Siamo al limite. Le nostre idrovore, a Boretto — portano l’acqua nelle terre del Parmigiano reggiano — rischiano di bruciare, tanto è lo sforzo per risucchiare l’acqua dal Po sempre più basso».
Il fiume con acqua troppo scarsa è anche un pericolo. «La richiesta di acqua ai laghi — spiega l’ingegner Ivano Galvani, dirigente dell’Aipo, agenzia interregionale per il fiume Po — va fatta anche per evitare la risalita del cuneo salino. Se il fiume è debole, il mare entra e risale per decine di chilometri. L’acqua salata entra nelle falde e nelle campagne. Il livello sotto il quale il Po non può scendere è stato fissato a 350 metri cubi al secondo a Pontelagoscuro, dove inizia il tratto finale ».
Dove il Po riceve l’Oglio un cartello avverte che il “il ponte di barche è chiuso”. È stato costruito nel 1922 ed è l’ultimo ponte fatto con queste barche di cemento che fino all’ultimo dopoguerra, legate a decine le une alle altre, formavano tanti ponti sul Po. L’Oglio però ha perso quasi tutta l’acqua e le barche ora appoggiano direttamente sul fondo. Troppo alto il dislivello con la strada. Per questo il ponte è stato staccato. Arrivano ancora turisti, a vedere questa reliquia. Si consolano con una visita al piccolo santuario della Madonna dei Correggioli, «da secoli miracolosa » e un tempo con tanti fedeli che «le offerte venivano raccolte con i badili e riposte nei sacchi». Almeno un miracolo l’ha fatto: il ponte c’è ancora.
Spiaggia grandissima e bella anche a Guastalla, in riva sinistra. A destra, il Peace in Po, bar ristorante discoteca con appese decine di immagini ormai antiche di storioni di due quintali e recenti con pesci siluro quasi dello stesso peso. «A dire il vero — racconta Guido Chiericati, da una vita guida del locale — a me la secca spaventa meno della piena. Vede i segni messi sul muro? Il Po ogni tanto arriva e ci allaga fino al secondo piano. Anche a novembre è arrivato al primo soffitto. La secca fa vedere la faccia bella del fiume, con le spiagge, i boschi… C’è gente che abita a pochi chilometri e non conosce nulla del fiume. Si pesca anche bene, se l’acqua non è molta. Sembra incredibile ma con questo caldo i cefali saltano direttamente nella barca. Ci sono risorse che gli italiani non conoscono più. Invece arrivano i tedeschi che vendono carissima una settimana in camping nel bosco con pesca al siluro. Arrivano anche i ladri, ed i più specializzati sono quelli dell’Est con elettrostorditori o palamiti — sfilza di ami lunga centinaia di metri — per catturare carpe e siluri da rivendere nel loro Paese». Un tempo, chi non aveva da mangiare andava in Po e si portava a casa la cena. Ora ci sono le pizzerie e trattorie con storione di allevamento.
Con la secca, stanno già arrivando i cercatori di fortuna. «Hanno trovato di tutto — dice Guido Chiericati — durante le secche del 2003 e del 2006. Pirodraghe, vecchie barche, anche un carro armato arrugginito. Io ho trovato un’ancora di due metri e mezzo. Sotto un arginello, c’era un tronco di acero rosso che secondo gli esperti risale al Medioevo ». Quando arriva la secca, si va dai più anziani a cercare informazioni. Per anni, in un luogo segreto della riva mantovana, si è cercata una cassaforte. Un ragazzo di allora — la guerra stava finendo — vide camion di tedeschi in fuga. Da uno dei camion che era riuscito a arrivare all’altro argine cadde una grande cassa di ferro. Furono trovati camion e carri armati, ma non la cassaforte.
Al tramonto cala la luce ma non il termometro. Tre o quattro persone in bici arrivano al “Porto turistico fluviale regionale” di Boretto. «Vedi che disastro?». Una scala scende dal piazzale verso il “Pontile Giudecca” dipinto di verde. Il pontile è però appoggiato sulla sabbia. Per arrivare all’acqua ci sono altri cento metri. «L’attracco è stato costruito in riva destra — dice Giuliano Landini, famiglia sul Po da tre generazioni — perché l’acqua anche con la secca arrivava fino a qui. Ma solo perché fino agli ’90 c’erano i ladri di sabbia, per fortuna scomparsi. E la sabbia ha ripreso il proprio spazio». C’è un barcone in secca, accanto al pontile. Altre barche sono appoggiate sul fianco. Sembrano immagini del lago d’Aral.
Repubblica – 21 luglio 2015