La sfida finale dell’Expo del 2015 sarà garantire a tutti il diritto al cibo. Il Milan Center for Food presenta oggi alla Farnesina le linee guida del progetto
Antonella Rampino. Che cos’è il diritto al cibo? Il più universale e basilare dei diritti dell’uomo sarà non a caso il fulcro della Carta di Milano, che si propone come «eredità immateriale» di Expo 2015, e che considera sin dalla prima riga «una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente». Ma il punto è come si può, se si può, rendere esigibile questo diritto?
Con una buona dose di ambizione, poche settimane fa è nato un nuovo organismo, il Milan Center for Food Law and Policy che ha interagito con Expo e che si propone non solo di «costruire il consenso delle nazioni attorno a riconoscimento di un principio universale» peraltro poco frequentato dalle politiche nazionali, ma anche di studiare se esista una via che lo possa rendere esigibile. Il think-tank è a Milano ed è guidato dalla giurista Livia Pomodoro, che oggi alla Farnesina sarà in una riunione a porte chiuse sul tema con la special rapporteur dell’Onu Hilal Elver. Che poi terrà un incontro pubblico alla Sioi, l’associazione che ha nel suo dna una particolare sensibilità alle organizzazioni multilaterali e ai diritti umani, visto anche che cura alla Fao la simulazione per i giovani delle assemblee dell’Onu.
Statistiche drammatiche
Di fame, per stare ai dati 2012-2014, muore una persona ogni 7 minuti, oltre la malnutrizione che riguarda 805 milioni di abitanti del mondo, il primato è in Asia con 525 milioni, segue l’Africa con 227 milioni, poi Sud America e Caraibi con 37 milioni, ma come sappiamo se il cibo del pianeta sarebbe sufficiente per tutti ottant’anni di impegno hanno prodotto pochissimo nella lotta alla fame. Il diritto al cibo è ormai nelle Costituzioni di 28 Paesi (su 118 costituzioni che esistono al mondo), e per esempio l’India lo ha recentemente reso esigibile in alcuni suoi Stati, ma il diritto al cibo ha molti nemici: oltre ai nodi giuridici, le perdite di raccolti, gli sprechi, i cartelli economici, la creazione di latifondi delle multinazionali nei Paesi in via di sviluppo, i brevetti, e perfino la tracciabilità degli alimenti e la trasparenza dei processi produttivi. «I paesi ricchi» spiega Livia Pomodoro «vedono nel diritto al cibo il pericolo di alterare le regole di mercato e temono una sorta di paternalismo di Stato; i paesi poveri invece sono impotenti e/o conniventi nella depredazione delle terre». Nella complessità del tema, l’attuale presidente del Tribunale di Milano si propone di studiare un piano a lungo termine armonizzando ciò che hanno fatto gli organismi internazionali e ciò che già stabiliscono le convenzioni multilaterali per l’accesso al cibo, «dobbiamo ragionare in termini di regole minime comuni che permettano alle persone di avere l’alimentazione e servano a custodire il pianeta», dice consapevole che la sfida è grande.
Una battaglia continua
Sottotraccia, il tema del cibo che l’Italia ha lanciato con Expo 2015 potrebbe proseguire attraverso il Milan Center for Food anche oltre, diventando parallelo anche per le prossime esposizioni universali, a cominciare da quella del 2020 a Dubai. E se l’Italia si impegnasse nell’affermazione del diritto al cibo potrebbe farne una leva nella battaglia per ottenere un seggio (a rotazione) nel Consiglio di Sicurezza Onu: il tema ha grande seguito tra i paesi dell’America-Latina e non solo. In questo caso si potrebbe anche giungere a metterlo in Costituzione. Perché poi, una soglia di malnutrizione significativa comincia ad esserci anche in Italia ed in Europa, il continente che pure percepisce se stesso come concentrazione di ricchezza e benessere.
La Stampa – 27 aprile 2015